Vania Colasanti è una giornalista con una spiccata sensibilità, molto appassionata del suo lavoro, persona di notevole entusiasmo, coinvolgente narratrice e soprattutto romana di grande simpatia. Dalle sue parole vogliamo conoscere la storia del primo fotoreporter italiano, Adolfo Porry-Pastorel. Gli ha dedicato un libro, intitolato “Scatto matto. La stravagante vita di Adolfo Porry-Pastorel, il padre dei fotoreporter italiani”, edito da Marsilio. A questa biografia è seguita un’altra pubblicazione, in forma di catalogo, in cui la giornalista ha scritto anche un saggio, edito da Electa, il cui titolo è quello della prima mostra monografica a lui dedicata a Roma nel 2021: “Adolfo Porry-Pastorel. L’altro sguardo. Nascita del fotogiornalismo in Italia”. Scopriamo “la stravagante vita” del primo fotoreporter italiano con Vania Colasanti.
Come mai ti sei appassionata al punto da dedicare un’opera biografica a questo formidabile fotografo che è stato Adolfo Porry-Pastorel?
Questa avventura mi ha portato a ripercorrere un arco di tempo che va dal 1888, quando lui nasce, fino al 1960, anno della sua morte. È stato un lavoro un po’ titanico, per certi versi, anche se ho voluto dargli un carattere leggero, perché la leggerezza è il tratto che contraddistingue Adolfo Porry-Pastorel, pur nella sua anche a volte drammaticità dei suoi scatti, era però sempre un personaggio ironico. Mi sono appassionata perché la mia famiglia è legata a Porry-Pastorel. Lui aveva un unico figlio che non tornò più dalla Russia, inviato durante la campagna di Russia come fotoreporter. Questo figlio aveva sposato Adriana Coltellacci, una delle mie zie. Praticamente, quello che è stato il suo archivio privato, personale – con gli scatti anche più intimi, che ritraggono lui, la sua famiglia e anche tanti suoi reportage – attraverso questa mia zia, sono arrivati a me, dal momento che lui non aveva dei nipoti diretti.
Il libro è molto bello e suggerisco di acquistarlo e di leggerlo, è scritto benissimo, però la cosa che a me ha affascinato molto è proprio la leggerezza e il piacere di vivere di Adolfo Porry-Pastorel. Lui ha iniziato in realtà come giornalista, inizialmente faceva il giornalista, per poi diventare un fotogiornalista.
Esatto. Lui lavorava come giornalista a Il Messaggero e il direttore era Ottorino Raimondi, una sorta di suo padrino, visto che Porry-Pastorel aveva perso il padre molto presto ed era sotto la sua ala e protettrice. Praticamente questo direttore gli diceva sempre di scrivere come se fotografasse. Lui, che era una persona anche molto dinamica, veloce nel modo di narrare e di fotografare dice al suo direttore: ma se io fotografo direttamente determinati avvenimenti, non faccio prima? Siamo nei primi del 900, anni in cui i quotidiani venivano ancora prevalentemente illustrati. Fu mandato a spese del giornale in Germania, che era molto avanti con la fotoincisione, con tutte le tecniche poi di stampa. A quel punto tornò con questo bagaglio di nozioni, era anche avanti rispetto agli altri e quindi cominciò a dedicarsi prevalentemente alla fotografia, con servizi che venivano poi accompagnati con delle nutrite didascalie. Porry-Pastorel è uno dei precursori della didascalia. Per esempio, durante la Prima guerra mondiale fu inviato al fronte e iniziò a fotografare i luoghi prima e dopo il bombardamento, per poi scrivere il “com’era e il com’è” nella didascalia.
Sempre durante quella esperienza si accorge che le retrovie comunicavano con la prima linea mandandosi dei messaggi con i piccioni viaggiatori, lì prende l’ispirazione di utilizzarli per battere la concorrenza, mettendo i propri negativi all’interno di piccole capsule che poi venivano legale alle zampette dei piccioni. Ci sono determinati episodi importanti dove lui stupisce tutti, perché la gente vede le prime pagine dei giornali con eventi che erano stati appena, o comunque da poco, fotografati.
Tra l’altro, non solo arrivava prima degli altri, ma come tu scrivi, aveva anche inventato il backup, perché lui non si affidava soltanto a un piccione, ma a due per non rischiare di perdere i negativi. Se non ho capito male, credo lui sviluppasse subito, per poi inviare tutto al giornale, in duplice copia.
Sì. Lui aveva spesso un’attrezzatura portatile e nel libro riporto proprio l’esempio di un colpo di genio: il 5 maggio del 38 al largo del Golfo di Napoli durante una parata navale. Sulla nave della corazzata Cavour c’erano Hitler e Mussolini, con loro tutti i fotografi dell’Istituto Luce, dove sono confluiti anche tanti suoi scatti. Comunque, all’epoca i fotografi dell’Istituto Luce erano i suoi nemici. Lui si trova su quella corazzata Cavour, nel ‘38 l’Italia era ormai prossima alla guerra, c’era un clima di tensione e ovviamente gli italiani volevano sbalordire Hitler, con quella parata navale. Insomma, lui fotografa tutto e poi si ritira in cabina con la sua attrezzatura portatile e sviluppa i negativi, li inserisce in queste capsule che allega, proprio come facciamo oggi con le foto nelle mail, alle zampette dei piccioni che erano solitamente due o più coppie, proprio perché c’era questa l’eventualità che potessero perdersi. Lanciati nel cielo di Napoli, i piccioni con i negativi erano addestrati per tornare alla sede del Giornale d’Italia o comunque nelle piccionaie dalle quali poi c’erano delle staffette che portavano gli scatti all’Agenzia V.E.D.O. acronimo che sta per Visioni Editoriali Diffuse Ovunque. Porry-Pastorel era proprio geniale, innovativo anche nel marketing e nella promozione. Quei negativi venivano poi trasmessi e portati al giornale, quindi quando Hitler, Mussolini e il Re sbarcarono a terra, praticamente dopo poche ore, trovarono il Giornale d’Italia con tutte le immagini che li ritraevano a bordo. Aveva anche un camioncino attrezzato come laboratorio fotografico, che gli consentiva di arrivare sempre per primo. Mia madre, che è cresciuta con lui, mi racconta che quando lei aveva vent’anni e magari poteva uscire anche con amici, se c’era l’occasione anche di stare con lui, magari rinunciava a delle uscite perché era più piacevole la sua vicinanza, talmente era un divertimento, una gioia, stargli accanto. Simpatico, ironico, intelligente, nonostante poi la sua vita sia stata segnata, a un certo punto, dal grande dolore per la perdita del figlio di cui non seppe più nulla, che non torno più dalla campagna di Russia.
Quali erano i soggetti che lui prediligeva? Chiaramente era un fotogiornalista per cui sicuramente c’era la cronaca, però da quello che tu racconti c’è il cinema, la cronaca nera, c’è la foto dell’arresto di Mussolini quando non era ancora il Duce, che è una cosa incredibile.
Per rispondere alla tua domanda, intanto c’è un protagonista nel bene e nel male che attraversa gran parte dei suoi reportage, che è appunto Mussolini. Quando Porry-Pastorel fece quello scatto, nel 1915, durante un convegno a favore della guerra, Mussolini venne arrestato a piazza Barberini ed è proprio quell’attimo che finisce in prima pagina su Il Giornale d’Italia. Da quel giorno, ogni volta che se lo ritrovava davanti, il duce diceva “Porry-Pastorel sempre il solito fotografo” e lui aveva l’ardire di rispondergli “Ah, sempre il solito Presidente del Consiglio”. Questo per dire che era uno che non si lasciava intimorire. È anche vero che poi lo stesso Mussolini si servì di Porry-Pastorel per tutti i reportage che hanno caratterizzato la sua azione politica, Pastorel era un po’ l’Oliviero Toscani di oggi. Come sappiamo, Mussolini era molto attento alla propaganda, e sapeva che Porry-Pastorel era in grado di creare delle situazioni capaci di renderlo, per così dire, dinamico. Io ho tanti scatti nel mio archivio di Mussolini che nuota, che scia, che si tuffa e che va a cavallo. Diciamo che lo ritraeva in tutte le salse, anche in modo veramente inusuale. Mi viene in mente la Marcia su Roma, foto straordinaria di Benito Mussolini con le mani sui fianchi a Piazza del Popolo, quello è uno scatto suo bellissimo conservato negli Archivi Farabola. Un altro soggetto che lo interessava era il costume, l’emancipazione femminile. Alla mostra a Palazzo Braschi c’erano delle foto bellissime, donne spazzino, donne operaie, ritraeva la figura femminile. D’altra parte, era molto attento all’emancipazione della donna. C’è una scena bellissima, una foto scattata durante uno dei giubilei, dove c’è una noleggiatrice di seggiolini a Piazza San Pietro, questa donna sembra quasi uscita da un quadro di Caravaggio, è di una poesia incredibile. Un’altra cosa abbastanza curiosa, proprio legata a Piazza San Pietro, è che sempre durante il fascismo, si doveva far vedere che c’era un po’ l’austerity e che le famiglie italiane risparmiavano, Porry-Pastorel ritrae questo momento facendo vedere gli italiani che si sposavano in bicicletta. Questa cosa, che evidentemente avveniva, lui l’ha costruita, erano tutte comparse. Una delle più belle fotografie, sempre degli Archivi Farabola, è quella della raccolta del grano di Benito Mussolini sulla trebbiatrice, dove lui riprende la scena da lontano, tanto da mostrare di fatto un set cinematografico. Una situazione finta, su questa trebbiatrice le contadine che stavano insieme a Mussolini non erano contadine, ma bellissime donne, per niente lavoratrici della terra.
Queste immagini che ci stai raccontando, si trovano anche nel tuo libro. Tra l’altro ce ne è una, anche questa molto bella, dove lui aiuta Trilussa ad andare su questo “velocino”, che era un po’ il monopattino dell’epoca.
Dici bene. Tra l’altro mi fa piacere ricordare che libro Scatto Matto di Marsilio, all’interno, c’è un piccolo reportage fotografico, è un inserto centrale, dove ho cercato di mettere le foto più significative che ripercorro la sua esistenza. C’è questo “velocino” che lui fa provare a Trilussa, davanti allo stupore anche di due bambini balilla che sono lì. C’è poi una foto meravigliosa, che sembra quasi uno scatto di Robert Doisneau, che verrà molto tempo dopo, sempre con i “velocini”, dove c’è mia zia Wanda, che era la sorella della moglie del figlio di Porry-Pastorel. C’è poi la sorella di mia madre, mia zia Sveva, la bambina che stira i vestitini per diventare una brava casalinga. Anche l’apertura della spina di Borgo, bellissima fotografia, con ancora tutte le casette della gente che poi fu mandata a vivere nelle periferie.
Noi stiamo riscoprendo queste immagini, devo dire, almeno per quello che mi riguarda, la prima volta è stato nel 2021, quando ho visto questa mostra a Palazzo Braschi a Roma. Ciò che mi ha colpito è che la società italiana è stata descritta in un modo totalmente diverso rispetto a quella che noi chiamiamo propaganda. Secondo te, se noi andiamo a guardare bene queste foto, come quella della trebbiatrice, il “making of” della propaganda; incominciandole a utilizzare anche nel discorso storico, ricollocandolo in quel tempo, come cambia il giudizio che invece abbiamo elaborato nei decenni passati?
Cambia, dici bene. Io ho fatto un intervento, anche con mia madre, in un documentario di Pietro Suber, andato in onda su Sky, si intitola “Mussolini, ha fatto solo cose buone?” e ricostruisce il fascismo attraverso questi altri sguardi che possono essere quelli di Porry-Pastorel. Pensiamo all’Istituto Luce, una delle miniere più preziose per leggere la storia in un altro modo, pensando a tutti i cinegiornali che accompagnavano i film. Si vede una realtà di un Paese che veniva mostrato sempre un po’ come nell’Impero Romano, una realtà ingigantita e offerta attraverso una precisa prospettiva e angolazione, laddove già gli scatti di Pastorel, svelano per così dire il trucco. C’è per l’appunto “un altro sguardo”. Infatti, non a caso il curatore della mostra di Palazzo Braschi, Enrico Menduni, l’ha intitolata proprio “l’altro sguardo”. Quindi questo il punto, dici bene. Queste foto consentono di vedere i retroscena di quel periodo. Non dimentichiamo che uno dei reportage più importanti fu quello sul delitto Matteotti, attraverso il quale è ancora possibile vedere la drammaticità di quello che è stato. Fu la moglie di Matteotti a commissionarglielo, perché era il numero uno. All’epoca si pensava fosse un rapimento, non un omicidio. Porry-Pastorel comincia a muoversi con la sua macchina, con le sue attrezzature portatili, per le campagne romane, fino al ritrovamento del corpo di Matteotti. Un reportage forte, tra l’altro ci furono degli squadristi che andarono nel suo studio a ritirare i negativi.
L’archivio adesso o come è composto?
Io ho quello che riguarda tutta la documentazione personale, oltre ai reportage, foto private e foto di tante altre situazioni. Ho tantissimo materiale di Mussolini. Ho poi una serie di libri che lui faceva, delle rassegne stampa personali che lo riguardavano attraverso articoli di giornale e vignette. Ho lo specchietto con il quale lui nei primi anni del secolo si faceva pubblicità, che dava alle donne e dove c’era scritto: “avvenimenti di cronaca, telefonare subito Porry-Pastorel fotografa ovunque tutto”. Ai vigili urbani dava invece un orologio da tasca dove sempre sul retro c’era il telefono. Questo per dire che non ho solo le fotografie, ma anche proprio oggetti che erano appartenuti a lui. Inoltre, ho tutti gli album che lui ha rilegato personalmente. Comunque, secondo me gli scatti più belli in assoluto sono negli Archivi Farabola, uno degli archivi più belli, più importanti in Europa. Poi ci sono quelle dell’Istituto Luce che ha il fondo Pastorel e il fondo V.E.D.O. fino al ’65, la sua storica agenzia che chiude cinque anni dopo la sua scomparsa, avvenuta il 1 aprile 1960.
Secondo te ha senso riunire tutto l’archivio?
Ma no, perché riunirlo sarebbe impossibile. Intanto quello dell’Istituto Luce è online. Quindi, se uno vuole vedere tutte le foto che loro hanno, sono online. Lo stesso per gli Archivi Farabola. Io sono l’unica che ha foto di lui, che ritraggono lui, la famiglia e situazioni private. Altri probabilmente hanno dei nuclei che riguardano il costume, gli artisti, la storia del nostro Paese. È vero che stiamo parlando dello stesso fotoreporter, ma credo sia un’impresa titanica riunirlo tutto, o pensare di vendere o acquistare collezioni così vaste.
Questa è la pagina del mio sito dove, aprendola, si possono vedere anche tante foto di Porry-Pastorel:
https://www.vaniacolasanti.com/scatto-matto
Federico Emmi
Foto Copertina: Arresto di Mussolini in un comizio interventista, Roma, 11 aprile 1915. Archivio Vania Colasanti