Arianna Rinaldo si occupa di fotografia da molteplici punti di vista.
È una curatrice indipendente, una mentor, una photoeditor e una mamma come si definisce lei stessa nel suo profilo Twitter.
Dal 2012 al 2021 è stata la direttrice artistica di “Cortona on the Move”, il festival internazionale di fotografia che si tiene in Toscana ogni anno a Luglio.
Ha curato lo scorso inverno, in co-direzione, anche Cortona on the Move AlUla, in Arabia Saudita.
Vive a Barcellona da alcuni anni.
Come è nata la tua storia personale con la fotografia?
Ha un inizio un po’ anomalo.
Non ho mai studiato fotografia né tecnicamente né a livello di storia o cultura fotografica. Ho una formazione come sinologa in cinese antico. Ero avviata a una carriera accademica chiusa in biblioteca a tradurre testi antichi. Ho avuto un momento di risveglio.
La fotografia è sempre stata nella mia vita perché mio padre è un appassionato. Avevamo una camera oscura in casa, è una presenza che da sempre mi ha accompagnato. Non avevo assolutamente nessun tipo di conoscenza al di fuori di quello che era scattare, fare delle foto con gli amici.
Grazie ai miei studi ho avuto la fortuna di andare a New York dove mi sono iscritta a un master di comunicazione e successivamente ho fatto degli stage sempre negli Stati Uniti.
Così mi sono trovata a fare uno stage alla Magnum. Alle Nazioni Unite mi ero infilata negli archivi fotografici dell’ ONU e, parlando con lo stagista che lavorava lì, mi appassionai. Scoprii un mondo.
Diciamo che ho avuto la fortuna di imparare e conoscere la fotografia entrando dalla porta principale. Quando sono approdata alla Magnum alla fine degli anni novanta avevamo un archivio ancora completamente analogico con stampe, diapositive, scatoloni, polvere. Poco dopo sono stata promossa come direttrice dell’archivio e sono rimasta lì tre anni abbondanti.
L’esperienza diretta con i fotografi della Magnum di quell’epoca e con questa fisicità della fotografia, proprio in quel momento iniziavamo a creare un archivio digitale, è stato un percorso molto intenso di scambio, di evoluzione, di cambiamento avvenuto in maniera molto umana perché il rapporto instaurato con i fotografi era diretto all’interno dell’agenzia.
Rientravo in Italia con il mio curriculum con una linea perché ero andata via anni prima studiando cinese antico ed ero tornata con questa qualifica di direttrice d’archivio Magnum Photos.
A Milano un po’ di porte mi si sono aperte, però non conoscevo nessuno, non conoscevo le riviste, le agenzie. Conoscevo Contrasto ai tempi perché rappresenta la Magnum in Italia. E c’era Grazia Neri, naturalmente.
Grazie a questa linea sul curriculum ho cominciato ad avere varie esperienze, tra cui una bellissima come photoeditor alla rivista “Colors” della famiglia Benetton rivelatasi una scoperta incredibile. Improvvisamente ho scoperto un modo di comunicare, di fare fotografie e di raccontare storie completamente diverso rispetto a quella della Magnum.
Per me è stata un’illuminazione. È possibile raccontare storie del mondo con un linguaggio diverso.
Da lì in avanti questa attenzione al linguaggio fotografico, alla sua evoluzione, è ciò che caratterizza la base di tutta la mia ricerca, di tutte le mie attività. Da “Colors” sono rimasta tre, quattro anni, successivamente sono tornata, sempre come photo editor, a Milano, collaborando con varie testate, con varie case editrici. Ero un po’ un battitore libero per cui facevo progetti zero di qua e di là con diverse case editrici, finché sono approdata per qualche anno a “D” di Repubblica come consulente fotografica. Di nuovo un altro modo di fare fotografie, ma soprattutto un altro pubblico.
Lì è stato interessante per riflettere su alcune domande. Chi guarda quello che tu produci? Chi vede quello che tu metti in pagina?
Questo è stato un altro grandissimo momento di apprendimento e di attenzione a un aspetto di questo lavoro che cerco sempre di comunicare anche ai fotografi quando insegno.
Dopo molti anni, una decina nell’ambito editoriale, ho avuto la fortuna di imbattermi nel festival internazionale di fotografia”Cortona on the Move”, nata nel duemilaundici, e dal secondo anno mi invitarono ad occuparmi della direzione artistica. Io avevo già curato qualche mostra con “Colors”.
Avevo avuto alcune piccole possibilità di curatela, ma non avevo la più pallida idea cosa volesse dire fare la direzione artistica di un festival. Antonio Carlone mi chiamò, mi ricordo ancora che era il Natale del duemilaundici e così avviammo questi dieci anni di collaborazione che si sono conclusi appunto lo scorso anno, nel duemilaventuno.
Questo festival per me rimane un modo di raccontare storie, con linguaggi diversi a pubblici diversi. È il cuore di quello che mi piace fare, che sia l’editing, che sia la curatela, che sia l’insegnamento.
Questi sono i punti chiave su cui ruota il mio pensiero relativo alla fotografia.
Ora sto lavorando su altri altri progetti, piccoli, medi. Devo dire che mi manca molto la carta, non mi dispiacerebbe ripercorrere questo giro, tornare in qualche modo nell’editoria, anche se ovviamente il mondo è molto cambiato da allora.
La scelta dei fotografi presenti a “Cortona On the Move AlUla”, il festival internazionale di fotografia di cui tu sei stata la co-curatrice, è stata dettata dal tema dello stesso festival “Past Forward – Time, Life and Longing” oppure la loro presenza esprime una volontà di continuità espressiva con il festival di Cortona?
Diciamo che il processo di selezione dei fotografi e degli artisti da portare ad AlUla è stato guidato da vari fattori.
La metà di questi autori sono stati scelti tra dieci anni di mostre a Cortona, di cui sono stata direttore artistico.
La prima fase di ricerca è stata attraverso un ritorno alle origini, ai lavori fatti dai quali ho ricavato una lista abbastanza ampia, diciamo una ventina di nomi su cui lavorare insieme alla curatrice saudita con cui ho avuto il piacere di collaborare, Kholood AlBakr. Nel raccontare a lei questi lavori che ovviamente conoscevo già molto bene, mi sono ritrovata a utilizzare delle parole chiave, a descrivere alcune cose in un certo modo. Quasi in maniera organica è nata quindi una shortlist di una decina di nomi che in qualche modo rispondevano a un flusso tematico coerente.
È emersa questa idea del tempo, che era legata anche al grande masterplan di rinnovamento di questa zona dell’Arabia Saudita.
Siamo arrivati a sceglierne nove. Lei ha fatto una riflessione su artisti conosciuti da lei nella regione araba per continuare questa idea. Il tema del tempo è stato quello che ha mantenuto il fil rouge tra tutti i lavori. Un tema ovviamente che si può affrontare in mille modi, ma che noi abbiamo voluto declinare con queste parole chiave: vita, appartenenza, desiderio, mancanza, nostalgia. Il titolo della mostra è “Past Forward” proprio perché vuole creare un legame tra il passato e il futuro, sia in maniera più personale, attraverso storie intime, storie di famiglia, relazioni, sia attraverso altre storie che hanno un valore più universale, perché toccano il cambiamento climatico, il nostro pianeta e come l’uomo, vivendo su questa terra, la cambia nel tempo.
C’è un progetto in particolare di cui vuoi parlarci?
Sarebbero tanti, però se devo sceglierne uno anche perché per me è stata una scoperta direi un artista arabo del Bahrain che non conoscevo Ali Al Shehabi che è stato ospite ad AlUla.
Il suo lavoro “Men of the Pearl ” è un lavoro sugli uomini del Bahrein. Lui è nato lì ma è cresciuto a Dubai. Da un paio d’anni ha deciso di ritornare nel suo paese di origine, che non conosceva.
Ha voluto fare per sé questo lavoro, per conoscere e riconoscere il suo luogo di origine.
Ha ritratto uomini che inizialmente sono amici, conoscenti, insomma, gente che gli è vicino, a cui puoi avvicinarsi facilmente entrando dentro le loro case. In una situazione abbastanza intima in queste case bellissime, in alcuni casi anche sontuose con mobili e tappeti e generalmente quasi sempre con il loro abbigliamento più tradizionale, quello della festa.
Quando ho visto questo lavoro per la prima volta senza conoscere lui, non avevo ben inteso quale fosse il significato, la sua intenzionalità.
Mi ha piacevolmente sorpreso il tipo di analisi, di ricerca, di riflessione che lui sta facendo, cioè a partire da un tentativo di conoscere la propria cultura. Si tratta di un ragazzo giovane che si veste in maniera anche molto moderna, che si confronta con questa realtà che è una realtà da un certo punto di vista molto conservatrice, però allo stesso tempo che si sta aprendo con questi continui sbalzi tra il passato, il futuro, questo past forward di cui abbiamo sottolineato l’effetto con il titolo. Lui invece ci ha parlato proprio di questa sua analisi dall’interno, di questo suo tentativo di far cadere anche gli stereotipi che ci sono sull’uomo arabo, demasculinizzando un po’ la figura dell’uomo. In una fotografia c’è un padre che tiene in braccio un bambino, vestito di tutto punto, sullo sfondo delle pecore. Un uomo con i capelli lunghi a cui una donna sta facendo una treccia. Non sappiamo dalla foto se sia la madre o la moglie o la sorella. Insomma, attraverso la sua spiegazione siamo riusciti, credo un po’ tutti, a vedere il fatto che ci fosse veramente un tentativo di far aprire gli occhi a se stesso e anche agli altri.
È stata veramente una bella sorpresa rispetto a quello che a volte succede, cioè trovarsi di fronte a un lavoro, che può essere anche di una pittura o di una scultura, senza sapere bene il contesto da cui viene o conoscere quale sia l’intenzione dell’autore. Spesso si perde veramente la ricchezza di quello che è il messaggio.
Come dicevi prima il tempo è un file rouge che intreccia il masterplan relativo all’Arabia Saudita, il progetto di promozione di AlUla, il titolo della mostra, il tempo declinato dai singoli fotografi.
È un tempo circolare che è proprio della cultura araba, ma non della nostra.
È un tempo che si apre al dialogo, che porta il passato a guardare il presente a riprendere il futuro. Aggiungiamo che Alula è un nome palindromo, riportandoci dunque di nuovo a un movimento circolare. Qual è la tua riflessione?
Grazie per aver notato la particolarità del nome AlUla a cui io non avevo fatto caso e che rinforza quello che abbiamo voluto fare lì e abbiamo trovato attraverso questa esperienza di Cortona on the Move AlUla.
Il tempo circolare, una bellissima metafora, una bellissima filosofia che è comune a molte filosofie orientali e che purtroppo noi abbiamo un po’ perso nel nostro mondo occidentale. Io credo che la storia, il paesaggio e la natura siano gli elementi che più facilmente ci riportano in questo non tempo, in questa circolarità. Trovandosi in un posto come AlUla, in un paesaggio incredibile, con siti storici antichi che ti fanno immaginare qualcosa del passato che non conosci, portando con noi il fascino del Medio Oriente e le nostre storie, ci vuole veramente un attimo per entrare in questa dimensione. Credo che il contesto sicuramente aiuti, così come anche a Cortona.
Ad AlUla stanno costruendo, rinnovando pur con un relativo rispetto nei confronti dell’architettura del passato. Allo stesso tempo sono vestiti molto tradizionalmente sia gli uomini sia le donne. C’è un continuo rimbalzo emotivo, anzi visivo e emotivo tra questo futuro, sempre in arrivo, sempre di corsa e un passato fermo e calmo.
Secondo me lì avviene un cortocircuito in certi momenti, questa circolarità a cui non siamo abituati. A volte è un po’ una centrifuga che ci fa perdere il senso del tempo. Però credo che l’esperienza di portare degli artisti contemporanei da diverse parti del mondo in un ambiente di quel tipo, che in qualche modo si sta muovendo, ma è anche stato fermo a lungo metta in moto una spinta a farci capire chi siamo, da dove veniamo, come ci connettiamo gli uni agli altri.
Se ti chiedessi una definizione di te stessa?
Non è una parola, perché una parola non saprei.
È difficile rispondere a questa domanda.
Non saprei cosa dire se non che mi piace mettere in contatto chi crea storie con chi è pronto ad ascoltare, a vedere.
Forse visto che parlavamo tanto di fil rouge, potrebbe essere tessitrice di storie?
Il famoso filo di Arianna. Forse da qualche parte ce l’ho quel filo.
Mi piace creare connessioni tra chi ha la capacità di trovare storie, di raccontarle, di andare a fondo e chi ha voglia di capire, di conoscere.
Qualcosa del genere.
Da settembre Discorsi Fotografici propone delle interviste audio in forma di podcast relative agli autori presenti all’edizione di “Cortona on The Move” 2022 “Me, Myself and Eye” che si chiuderà questo fine settimana. A dicembre uscirà una puntata con Corinne Noordenbos, Huda Beydun e Awoiska van der Molen.
@arianna_rinaldo_curator
podcast.discorsifotografici.it