Le storie prima di tutto. Intervista a Gianluca Colonnese

Anche se oggi ha poco senso parlare di generi, non possiamo nascondere che il reportage sia sempre stato considerato il genere per elezione nella fotografia. Negli ultimi decenni abbiamo assistito ad un’accelerazione in termini di produzione e contenuti, tanto da rendere complesso il destreggiarsi fra le proposte.

Da una parte è indubbiamente positivo che più storie, eventi e fatti abbiano la possibilità di essere conosciuti, dall’altro la sovra produzione di progetti fotografici tende a fagocitare delle piccole perle. Inoltre, lo sviluppo del linguaggio narrativo ha modificato il proprio status e oggi, per costruire un reportage moderno, concorrono anche altri generi come il ritratto, la fotografia di paesaggio, lo still life e non per ultima la parte testuale.

In Italia abbiamo numerosi fotografi che stanno raccogliendo successi in tutto il mondo, fra questi c’è Gianluca Colonnese che si è fatto conoscere per aver raccontato storie sconosciute con uno stile personale e ricercato, molto equilibrato e sincero.

Le reve de les anfant ©Gianluca_Colonnese
Le reve de les anfant 03 ©Gianluca_Colonnese
Le reve de les anfant 02 ©Gianluca_Colonnese
Le reve de les anfant 01 ©Gianluca_Colonnese

Tra i progetti che hanno fatto conoscere Gianluca ricordiamo “Amina, la donna che insegna a volare”, in cui il fotografo racconta la storia di una donna di fede musulmana che si dedica quotidianamente ad assistere le donne vittime di violenza, indipendentemente dalla loro religione o etnia.

Oppure “Sulla via di Damasco”, in cui si racconta il percorso di due giovani che hanno dedicato la loro vita alla produzione e all’uso legale della canapa. Da un lato, c’è il figlio di un carabiniere che è diventato un grande produttore di canapa ad uso ludico; dall’altro, un medico che utilizza la canapa per curare malattie e sintomi significativi.

Uno dei progetti a cui ha dedicato molto tempo e sacrifici è “La morte dei patriarchi”. Con il supporto del Centro Nazionale di Ricerca di Bari, ha approfondito la comprensione della Xylella Fastidiosa e degli impatti economici, sociali e culturali che questo batterio ha avuto sul territorio pugliese.

L’ultimo progetto a cui si è dedicato è “La radice fenicia”, che lo ha portato a viaggiare in Italia, Africa e America. Questo lavoro di carattere antropologico ha suscitato l’interesse di “7” il settimanale del Corriere della Sera, di una rivista del settore antropologico, per la quale sta attualmente scrivendo un articolo, oltre a fornire la documentazione visiva delle sue scoperte.

La radice Fenicia 02 ©Gianluca_Colonnese
La radice Fenicia 04 ©Gianluca_Colonnese
La radice Fenicia 05 ©Gianluca_Colonnese
La radice Fenicia 03 ©Gianluca_Colonnese

Qual è la tua personale storia della fotografia?
La fotografia per me è sempre stata una forma di espressione creativa e un modo per catturare e condividere le emozioni e le storie che mi circondano. Sebbene abbia iniziato a “rubare” la telecamera di mio padre sin da giovane, a soli 6 anni, per riprendere il quartiere in cui vivevo, è nel 2013, all’età di 34 anni, che ho avviato il mio percorso fotografico. Dopo la laurea con specializzazione in cinematografia, dove ho avuto modo di approfondire anche materie antropologiche, ho lavorato prima in Rai, occupandomi di montaggio video. Successivamente, ho lavorato come cameraman per un’azienda che produceva contenuti e documentari sul territorio italiano per Sky e servizi informativi per i telegiornali nazionali. Tuttavia, ho deciso di concentrarmi su progetti che catturassero maggiormente il mio interesse. Ho compreso che la fotografia offre un canale di comunicazione accessibile a tutti attraverso la stampa, senza la necessità di dispositivi elettronici per visualizzare le opere, come avviene invece nel caso del video.

Amina la donna che insegna a volare 01 ©Gianluca_Colonnese
Amina la donna che insegna a volare 02 ©Gianluca_Colonnese

Fra le variabili che determinano il successo di un reportage senza dubbio c’è la scelta della storia da raccontare: quanto è importante trovare la storia giusta e come cercarla?
Trovare la storia giusta è essenziale perché rende la fotografia più significativa e coinvolgente. Per trovarla, bisogna osservare attentamente il mondo che ci circonda, essere curiosi e aperti alle esperienze, e soprattutto ascoltare le persone e le loro storie. Diversi lavori che ho affrontato sono partiti da fonti come telegiornali locali e trafiletti di giornali. In questo modo mi rendo conto che ci sono storie importanti alle quali può essere dedicato uno spazio maggiore. Ma sicuramente anche la musica, che sempre più spesso oltre a raccontare realtà interessanti che si possono approfondire grazie al suono, da anche l’ispirazione giusta. Sicuramente una volta trovata la storia, bisogna guardarsi intorno per capire se è già stata affrontata da un tuo collega, come è stata affrontata, cosa puoi dire di utile su di essa con le tue immagini, ma sicuramente questo è uno step successivo.

Un’altra variabile è la riconoscibilità: come trovare il proprio stile personale per emergere nel mare di proposte e come trovare un equilibrio efficace tra la narrazione, l’estetica ed editing fotografico?
Trovare il proprio stile personale richiede tempo, sperimentazione, auto-riflessione e confronto con persone già presenti nel settore. In questo aspetto le associazioni fotografiche hanno un grande ruolo. È importante esplorare diversi generi e tecniche fotografiche, ma anche ascoltare la propria voce interiore e trovare ciò che ci appassiona davvero. Un equilibrio efficace tra narrazione, estetica ed editing si raggiunge attraverso la pratica costante, la voglia di mettersi in gioco, il confronto con gli altri e la ricerca di coerenza nel proprio lavoro. L’obbiettivo principe, infine, è riuscire a percorrere il proprio sentiero e non strade già battute.

«Se le tue foto non sono abbastanza buone, significa che non sei abbastanza vicino». Questa è una citazione di uno dei più importanti fotografi della storia. La vicinanza può essere interpretata dal punto di vista spaziale ma soprattutto dal punto di vista umano, empatico ed emotivo. Qual è la giusta distanza nel reportage, e quanta capacità ha la fotografia di raccontare la verità?
La giusta distanza nel reportage dipende dal contesto e dall’obiettivo della storia. La fotografia ha il potere di raccontare la verità, ma è importante essere consapevoli del proprio punto di vista e delle proprie influenze. Nei miei progetti cerco sempre di raccontare la verità, ma mi rendo sempre più conto, maturando, che è la mia verità. Siamo esseri umani e come tali a mio avviso non è semplice essere imparziali, non schierarsi. Da tempo faccio letture portfolio e mi rendo conto che guardare l’immagini di un autore spesso è come guardare l’autore negli occhi. Ognuno di noi mette all’interno di quella cornice il proprio bagaglio culturale, i retaggi culturali e le proprie emozioni.

Con l’avvento dell’intelligenza artificiale cha ha accesso infiniti dibattiti che riguardano l’etica della comunicazione, quali sono i pericoli e quali le occasioni nella fotografia ed in particolare nel reportage?
Nella fotografia, l’intelligenza artificiale può essere sia un’opportunità che un rischio. Da un lato, può facilitare il processo creativo e migliorare la comunicabilità delle immagini. Dall’altro, che è quello che più riguarda la mia sfera lavorativa, può sollevare questioni etiche riguardo la manipolazione delle immagini e la privacy. Ciò che viene prodotto anche parzialmente dall’IA, non è una fotografia ma un’immagine. Il problema nasce quando dell’intelligenza artificiale se ne fa un uso scorretto. Un grosso rischio, ad esempio, è presente per le riviste o i giornali: il mondo dell’editoria è sempre più in difficoltà economica ed avere la possibilità di creare un’immagine da zero ha un costo di gran lunga minore rispetto a dover finanziare un fotografo. Quindi, il rischio che si faccia un illecito, mostrando delle immagini frutto dell’IA e facendole passare per fotografie è molto alto. Di certo c’è che la fotografia non può più essere considerata un documento indiscutibile del passato.

Il tuo progetto “La morte dei patriarchi“, reportage sui danni Xylella fastidiosa che ha attaccato gli ulivi in Puglia, ha avuto molta fortuna tanto che National Geographic gli ha dedicato molto spazio, persino numerose doppie pagine alle fotografie. Ci racconti come è andata e come si fa a lavorare per una rivista?
Lavorare per una rivista come National Geographic è un’esperienza incredibile e gratificante. Richiede passione, dedizione e capacità di comunicare efficacemente attraverso le immagini. È importante avere una visione chiara della storia da raccontare e collaborare con il team editoriale per trasmetterla nel modo più autentico e coinvolgente possibile. Per lavorare con riviste nazionali ed internazionali bisogna avere due ingredienti fondamentali: il primo è che la storia sia di interesse per leditore al quale si vuole presentare il lavoro. Il secondo è muoversi con le letture portfolio, incontrare gli editor nei vari eventi nazionali ed internazionali, in modo da farsi conoscere, mostrare i propri lavori ed ascoltare con molta attenzione il giudizio che i lettori esprimono. In questo modo, con il tempo, si arriva a portare il lavoro giusto alla persona giusta. Un altro metodo è la ricerca dei contatti degli editor che ci interessano, ma quest’ultimo spesso non ha un prosieguo perché gli editor sono tempestati quotidianamente da mail, e se il lavoro non è presentato bene si rischia di non arrivare alla meta.

La Morte dei Patriarchi 05 ©Gianluca_Colonnese
La Morte dei Patriarchi 04 ©Gianluca_Colonnese
La Morte dei Patriarchi 01©Gianluca_Colonnese

Seguendoti sui social, si scopre che fra le molte attività tieni incontri con le scuole. Cosa ti viene chiesto più spesso? I ragazzi comprendono il potere e l’importanza della fotografia?
Ho la fortuna di essere ingaggiato da scuole elementari, medie e superiori. E per questo devo ringraziare dirigenti scolastici ed insegnanti che credono nel mio operato. È importante educare i giovani sul potere e l’importanza della fotografia come mezzo di espressione e di comunicazione. Penso che la cultura fotografica debba circolare il più possibile nelle scuole, perché la fotografia, oltre ad essere un mezzo potentissimo di comunicazione, è anche terapeutica. È meraviglioso veder nascere l’interesse per la fotografia nei ragazzi. Durante gli incontri con le scuole, spesso mi viene chiesto come diventare fotografi e come trasmettere emozioni attraverso le immagini. Ed è meraviglioso come poi riescono a farlo soltanto aprendo il loro cuore senza aver timore del giudizio. Devo ammettere che spesso gli insegnanti mi segnalano dei ragazzi come possibili disturbatori delle lezioni ma non è così, perché dopo un paio di incontri iniziano a portare delle immagini delle loro realtà e li ci si rende conto del potere della fotografia.

Quali sono fino ad ora i passaggi decisivi nella tua crescita fotografica? quali sono gli eventi che ti hanno fatto fare uno salto di qualità a livello fotografico e narrativo?
Eventi significativi come esporre in Galleria Vittorio Emanuele a Milano grazie all’assessore alla cultura del Comune di Milano, essere selezionato ed esposto più volte a fotografia Etica di Lodi, la prima pubblicazione con L’Espresso, i viaggi al festival di Perpignan dove ho avuto modo di incontrare editor da tutte le parti del mondo, l’esposizione dei miei progetti su Vanity Fair, National Geographic ed altre riviste, hanno contribuito alla mia crescita fotografica. Inoltre, l’opportunità di lavorare spesso su progetti personali ha arricchito la mia esperienza e mi ha aiutato a sviluppare uno stile distintivo. Il prossimo passaggio credo si stia realizzando in questi giorni: una collaborazione con il dipartimento di antropologia di un’università italiana, dove avrò la possibilità, attraverso il testo e non solo tramite le immagini, documentare il mio ultimo progetto che è quello della produzione del carbone vegetale nel mondo, chiamato “La radice Fenicia”.

Cosa cerchi come fotografo e cosa consiglieresti a chi vuole cominciare?
Nella fotografia cerco un mezzo che mi porti ad entrare in storie e realtà che mi interessano. Consiglio a chi vuole cominciare di seguire la propria passione, di essere perseveranti e di non aver paura di sperimentare. È importante anche studiare il lavoro dei fotografi che ammiri ed imparare dalle loro tecniche e dal loro approccio, inoltre frequentare letture portfolio e associazioni fotografiche in maniera da avere un confronto costruttivo.

https://gianlucacolonnese.myportfolio.com

Mirko Bonfanti