Cavalieri, Giocolieri e Pomone: Marino Marini conquista il Forte di Bard

Il Forte di Bard in Valle d’Aosta ospita, fino al 3 novembre 2024, una straordinaria esposizione dedicata a Marino Marini, uno dei più influenti artisti italiani del XX secolo. “Arcane fantasie” curata da Sergio Risaliti offre uno sguardo approfondito sull’universo creativo di Marini, presentando 23 sculture e 39 opere su tela e carta.

putto_che_suona

Per comprendere la portata di questa mostra, è essenziale ripercorrere il percorso dell’artista. Marino Marini nasce a Pistoia il 27 febbraio 1901, iniziando la sua formazione artistica nel 1917 presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze, dove studia pittura con Galileo Chini e scultura con Domenico Trentacoste. Sebbene i suoi esordi siano dedicati alla pittura, al disegno e alla grafica, è nella scultura che troverà la sua massima espressione artistica. La sua carriera prende slancio negli anni ’20: nel 1926 si stabilisce a Firenze e l’anno successivo conosce a Monza Arturo Martini, che lo designerà come suo successore all’I.S.I.A. della Villa Reale di Monza. Il 1928 segna il suo ingresso nel gruppo “Novecento” con una mostra a Milano, mentre il 1929 lo vede soggiornare a Parigi, dove entra in contatto con artisti del calibro di De Pisis, Picasso, Maillol, Lipchitz e Braque. In questi anni partecipa a diverse esposizioni internazionali con il gruppo Novecento, da Milano a Helsinki e Stoccolma. Gli anni ’30 si rivelano decisivi per la sua affermazione: nel 1932 tiene la sua prima personale a Milano e nel 1935 vince il primo premio per la scultura alla Quadriennale di Roma. È in questo periodo che definisce i suoi temi prediletti: il cavaliere e la pomona. Nel 1938 sposa Mercedes Pedrazzini, detta Marina, sua compagna di vita.

La guerra segna una svolta significativa nel suo percorso: dopo aver insegnato scultura all’Accademia di Brera dal 1940 al 1943, si rifugia in Svizzera, dove ha l’opportunità di confrontarsi con artisti come Wotruba, Richier e Giacometti. Al suo rientro a Milano nel dopoguerra, riprende l’insegnamento a Brera e la sua carriera assume una dimensione sempre più internazionale. Il 1948 rappresenta un anno cruciale: la Biennale di Venezia gli dedica una sala personale e stringe un’importante amicizia con Henry Moore. Grazie al mercante Curt Valentin, la sua opera si diffonde in Europa e negli Stati Uniti, dove conosce artisti come Arp, Feininger, Calder e Dalì. Gli anni ’50 e ’60 vedono il susseguirsi di importanti riconoscimenti internazionali, dalla personale a New York nel 1950 al monumento equestre dell’Aia (1958-59), fino alle mostre di Zurigo, Roma e in Giappone. Gli ultimi anni della sua vita sono caratterizzati dal riconoscimento istituzionale della sua opera: nel 1973 viene inaugurato il Museo Marino Marini a Milano, seguito nel 1976 da una sala permanente nella Nuova Pinacoteca di Monaco di Baviera. Marini muore a Viareggio nel 1980, ma il suo lascito continua a vivere: nel 1979 viene fondato a Pistoia il centro di documentazione della sua opera, trasferito nel 1989 nel Convento del Tau, e nel 1988 viene inaugurato il Museo Marino Marini a Firenze, città che l’artista aveva tanto amato.

Proprio questa ricca eredità artistica trova oggi nuova vita nella mostra al Forte di Bard. Il percorso espositivo rivela la complessità e la varietà del genio artistico di Marini, esplorando i temi ricorrenti della sua ricerca: cavalli e cavalieri, guerrieri e antiche divinità, giocolieri e danzatrici. Queste figure, che oscillano tra l’arcaico e il contemporaneo, testimoniano l’abilità di Marini nel fondere tradizione e innovazione, portandoci in territori familiari e allo stesso tempo sconosciuti. Tra le sezioni più affascinanti della mostra emerge quella dedicata ai soggetti circensi, dove l’influenza di Pablo Picasso è evidente. Come il maestro spagnolo, Marini trova nel mondo del circo una fonte inesauribile di ispirazione, catturando la magia e la malinconia di questi personaggi. Tuttavia, mentre Picasso li rappresenta spesso con toni più cupi e drammatici, Marini infonde nelle sue figure un senso di vitalità e mistero che ricorda anche l’opera di Alexander Calder, noto per le sue rappresentazioni giocose e dinamiche del mondo circense.

I celebri cavalli, tema centrale della sua produzione, evocano confronti con altri maestri della scultura equestre. Si possono tracciare paralleli con le opere di Degas, noto per i suoi studi sul movimento equino, o con le possenti sculture di cavalli di Franz Marc, che come Marini vedeva in questi animali un simbolo di forza primordiale e connessione con la natura. Spesso sono come “abbozzati” ma rappresentano l’idea stessa di cavallo.

Particolarmente significativa è la connessione delle sue opere con l’arte etrusca, un aspetto che sarà ulteriormente esplorato nella futura mostra del Mart “Etruschi del Novecento”. Le sue figure, in particolare le Pomone, richiamano le forme sintetiche e monumentali dell’arte etrusca, con la loro combinazione di astrazione e figurazione. Questo legame con l’antico conferisce alle opere un senso di atemporalità e profondità culturale.

Alcune delle opere esposte rivelano inoltre un interessante parallelo con il concetto di “non finito” di Michelangelo. Marini lascia deliberatamente alcune sculture in uno stato di apparente incompiutezza, creando un dialogo tra forma e materia che ricorda le famose sculture incompiute del maestro rinascimentale. Questa tecnica aggiunge un elemento di dinamismo e suggestione alle opere, invitando lo spettatore a completare mentalmente l’opera.

L’influenza di Marini si estende anche al campo della fotografia contemporanea. Fotografare alla maniera di Marino Marini significa cercare l’essenza primitiva in ogni soggetto, che sia un volto, un paesaggio o un oggetto quotidiano. L’occhio deve muoversi come lo scalpello del maestro: deciso ma sensibile, alla ricerca delle tensioni nascoste e dei contrasti drammatici. Come Marini riduceva le forme alla loro potenza elementare, così il fotografo deve sfrondare il superfluo attraverso la composizione, lasciando emergere solo le linee di forza essenziali. La luce diventa il nostro bronzo: va modellata con durezza per creare ombre profonde dove serve, ammorbidita per rivelare le texture più delicate, sempre al servizio di quella tensione drammatica che caratterizzava le opere del maestro.

Tecnicamente, questo approccio si traduce nell’uso di un’illuminazione laterale a 45 gradi per scolpire i volumi, preferibilmente con una sorgente luminosa principale dura (come un flash con griglia o snoot) accompagnata da un riempimento minimo, mantenendo un rapporto di contrasto di almeno 4:1. La scelta di obiettivi medio-tele (85-135mm) aiuta a comprimere i piani e isolare le forme essenziali, mentre una leggera sottoesposizione (-0.7 EV) enfatizza la drammaticità delle ombre. In post-produzione, lavorare in bianco e nero con curve a contrasto pronunciato nelle zone intermedie permette di esaltare quella materialità scultorea che Marini ricercava nel bronzo.

“Arcane fantasie” si rivela così un viaggio affascinante attraverso l’immaginario di Marino Marini, rivelando le molteplici influenze e innovazioni che hanno caratterizzato il suo percorso artistico. Dal richiamo all’antico al dialogo con i maestri moderni, l’esposizione al Forte di Bard è un evento imperdibile per gli appassionati d’arte e per chiunque desideri esplorare l’universo creativo di uno dei più grandi scultori italiani del Novecento.

Le tre grazie