Muers – “Peso morto”

Abbiamo già incontrato Francesco Del Grosso in occasione dell’uscita del documentario “In prima linea” (2020), fra le righe dell’articolo di Luisa Raimondi.

Durante l’ottava edizione di Visioni dal Mondo – Festival Internazionale del Documentario, a distanza di poco più di due anni esce in anteprima mondiale “Peso Morto”, un documentario sociale che riscostruisce la vicenda di Angelo Massaro vittima di un errore giudiziario durato ventun anni.

Il 18 settembre scorso, nella settecentesca cornice del Teatro Litta, il più antico teatro in attività di Milano che si trova, combinazione, di fronte a Largo Enzo Tortora, viene proiettato il documentario.

Per il regista, dopo “Non voltarti indietro” (2016), si tratta della seconda collaborazione con errorigiudiziari.com. Sono infatti presenti alla proiezione e al successivo incontro con il pubblico, oltre a Francesco Del Grosso e Angelo Massaro, anche Benedetto Lattanzi e Valentino Maimone, giornalisti fondatori di errorigiudiziari.com i quali hanno scritto insieme al regista la sceneggiatura di quest’ultimo lavoro.

La storia di Angelo Massaro viene ripercorsa attraverso diverse testimonianze, quella di Angelo, naturalmente, di sua moglie, di uno dei loro figli, della mamma e di alcune tra le persone che hanno seguito più da vicino le vicissitudini del caso.

Angelo rivisitando i luoghi in cui si sono svolti gli avvenimenti principali di tutta la vicenda incontra, questa volta da uomo libero, le persone che hanno caratterizzato i momenti cruciali del periodo che va dal suo arresto alla sua scarcerazione, raccogliendone i ricordi, le parole, il sostegno, l’affetto.

La scelta stilistica che ripercorre questo viaggio è quella di inquadrare paesaggi ampi e assolati, Angelo alla guida della sua auto; le immagini suggeriscono un senso di libertà e di movimento che evidentemente pone l’accento su quanto e cosa sia stato sottratto al protagonista, vediamo scene e ascoltiamo parole che vanno in contrapposizione ai ricordi evocati i quali, al contrario, richiamano ambienti più stretti e più bui.

Ulteriore scelta ben riuscita, la coralità, che ha unito e fuso insieme in unica voce tutti gli artefici del documentario.

Affiorano le emozioni: al momento dell’arresto lo sconcerto, l’incredulità, la certezza immediata che tutto si risolverà velocemente, la rabbia, la lotta per dimostrare l’innocenza, la frustrazione derivata da un enorme refuso che si fonda sulla errata trascrizione di una lettera nell’intercettazione telefonica: muert (morto, cadavere) e non muers (oggetto ingombrante, peso morto). Questo è il motivo della condanna. Non una volta, ma moltiplicato per i tre gradi giudizio che prevede la Legge Italiana.

Molti sono i temi toccati: la rilevanza della famiglia, della sua funzione di rete, di argine, di risorsa, di supporto, l’importanza di affrontare le ingiustizie, il valore di credere e sostenere la verità, non per ultimo porre l’accento sulla considerazione che bisognerebbe vedere persone e non pregiudizi, sulla dignità.

Due sono gli aspetti che racchiudono il senso profondo di questo lavoro.

Fare in modo che quel “chiunque” della frase ricorrente recitata in questo tipo di disavventure: “poteva accadere a chiunque” diventi “nessuno”.

Regalare il messaggio che ci lascia Angelo Massaro e che egregiamente Francesco Del Grosso raccoglie e rappresenta: trasformare il dolore della ferita subita in una occasione per migliorare sé stessi e un pezzetto di mondo.

La riuscita negli intenti è istantanea.

La fine della proiezione è stata accolta da un lungo e accorato applauso.

A sugellare le intenzioni dell’opera, l’intervento del Sostituto Procuratore Generale della Corte d’Appello di Milano Cuno Tarfusser presente in sala, il quale chiedendo la parola durante la conversione che ha seguito la proiezione si è innanzitutto scusato quale uomo delle Istituzioni con Angelo Massaro lasciando poi un messaggio prezioso: «Bisogna fare qualcosa affinché questo filmato venga insegnato ai Magistrati … perché venga insegnato che oltre alle carte ci sono delle persone».

Non c’è chiusura migliore.

Matteo Rinaldi