Riflessioni fotografiche sulla mostra ‘Il tempo del futurismo’

Al termine della visita  alla mostra, la cui missione come spiegato nella presentazione (il catalogo non era ancora pronto) è «questa mostra si concentra sul rapporto tra arte e scienza/tecnologia e illustra quel “completo rinnovamento della sensibilità umana avvenuto per effetto delle grandi scoperte scientifiche” posto alla base della nascita del Futurismo.”» ho sentito un forte impulso a fotografare qualcosa in movimento e ad approfondire il legame tra futurismo e fotografia.

Per fortuna nella ultima sala, una di quelle criticate da alcuni studiosi e critici per contenere opere che poco o nulla rappresentano i collegamenti tra il futurismo ed i movimenti successivi come l’Arte Povera e la scuola di via Margutta, ho trovato l’opera di arte cinetica e programmata “Deformazione assonometrica” del 1964 di Gabriele Devecchi. Ho messo 1” di esposizione ed è venuto fuori quello che desideravo. (vedi foto 1)1.

A parte lo spunto fornito dalla mostra devo confessare che sento a volte la spinta a registrare il movimento nello scatto (non penso certo che siamo in pochi a sentirla) e, ad esempio la foto successiva, scattata ad Anzio nel 2022, è stato un esercizio di “fotodinamismo” (la definizione è nel seguito dello articolo).

Foto di MAURO SALVEMINI – Aquiloni,  Anzio 2018

Nella mostra la fotografia futurista è ben poco citata, e non sono il solo a dirlo. Lo sostiene anche il critico Dambruoso https://www.artribune.com/arti-visive/2024/12/dambruoso-polemiche-futurismo-mostra/ “Solo tre piccole fotografie di Anton Giulio Bragaglia a rappresentare, dispersa tra i documenti, la sezione della Fotografia Futurista.” Al momento ricordo una sola opera di fotodinamica del 1911 di Anton Giulio Bragaglia e Arturo Bragaglia, le altre due forse sono troppo disperse e lontane. Questa circostanza mi ha indotto ad approfondire il tema: fotografia e futurismo.

Ma andiamo con ordine, paradossalmente alla mancanza di fotografie, alcune opere pittoriche esposte, tra le più celebri, potrebbero essere assimilate a scatti fotografici dai tempi medi e lunghi, l’opera “Il dubbio” di G. Balla del 1907, la si può trovare qui  https://www.galleriaartemodernaroma.it/it/immagini/giacomo-balla-il-dubbio-1907-08-olio-su-carta-cm67-x-50-inv-am-56  è un’opera fantastica (ma non futurista!) da studiare per chi fa ritratti fotografici mentre “Bambina che corre sul balcone”  sempre di Balla del 1912 penso che trasmetta la gioia del movimento e non solo il movimento che gran parte della street fotografia contemporanea riesce a registrare e la si può trovare qui pubblicata da Googlearts https://artsandculture.google.com/asset/bambina-x-balcone-giacomo-balla/mQHFDDFhlSOVYg?hl=it

I tempi brevissimi di esposizione fotografica sono evocati da alcune tele degli esordi del futurismo quale quella di Gino Severini “Dinamismo di forme – luce nello spazio” del 1912. L’opera che è generalmente esposta allo GNAMC e pubblicata nella nuvola in varie versioni, ad esempio sulla  rivista on line https://kunstvensters.com/2020/11/08/eadweard-muybridge-ontrafelde-het-mysterie-van-het-paard-in-galop/ un po’ superficiale, dove sono presenti molte immagini sui primordi della fotografia di movimento di Muybridge (il noto scopritore della circostanza che il cavallo al galoppo non tocca terra in un momento del movimento) ) circa il quale è però meglio riferirsi a https://it.wikipedia.org/wiki/Eadweard_Muybridge che contiene anche interessanti animazioni. È però dominio comune che le invenzioni di Étienne-Jules Marey abbiano influenzato il nascente futurismo. Étienne-Jules Marey (1830–1904) fu un pioniere della fotografia e uno dei principali innovatori nello studio del movimento. Attraverso la sua invenzione della cronofotografia e del fucile fotografico (1882), Marey catturava le diverse fasi del movimento. I suoi studi sul dinamismo peraltro condotti in gran parte a Napoli insieme a quelli sulla anatomia e biomeccanica furono di base per sviluppi dell’arte, della tecnica cinematografica e della medicina. La voce su wikipedia  https://it.wikipedia.org/wiki/%C3%89tienne-Jules_Marey è esaustiva ed ha una ricca bibliografia.

Tenendo a mente che il dinamismo della luce è ancora più complesso da trattare di quello dei corpi, nella mostra è esposta la fantastica opera, prestata dal MOMA, “Lampada ad arco” (1911) di Giacomo Balla, che celebra la modernità rappresentando una sorgente di luce elettrica.

Giacomo Balla, Lampada ad arco, 1911, olio su tela
courtesy The Museum of Modern Art, New York. Hillman Periodicals Fund, 1954

Sono del secondo e terzo Futurismo le opere della aeropittura, ma in questo caso la circostanza di essere abituati alle scene di azione dei film, primi tra tutti il salto nello iperspazio di StarWars e le inflazionate riprese da drone, non rende questa componente del futurismo così innovativa sino a quando non si riflette sul fatto che sono passati circa cento anni dalla data di quelle opere. E allora non si può fare a meno di ammirarle. L’aeropittura che si sviluppa dal 1930 in poi ha, nella maggior parte delle opere, purtroppo una spiccata componente guerresca con i suoi flash temporali e la rapidità degli eventi rappresentati. Però nella mostra alla GNAMC l’aeroplano esposto (proprio in connubio di molte opere di aeropittura) è statico (foto 4) come del resto anche gli altri mezzi di trasporto esposti in altre sale: chissà se Marinetti li avrebbe esposti su semplici pedane assolutamente parallele al pavimento? Quella bella fusoliera esposta al centro della sala mi ricorda “Lo squalo” di Damien Hirst.

Foto di Emanuele A. Minerva e Agnese Sbaffi – Ministero della Cultura
Courtesy Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea

Torniamo alla fotografia futurista: di manifesti sulla fotografia futurista ce ne sono due, uno sul fotodinamismo del 1913 a firma di A.G. Bragaglia ed altri e l’altro sulla fotografia futurista del 1930 a firma di Marinetti e Tato (l’artista che inventò l’aeropittura). Muybridge e Marey muoiono a pochi giorni l’uno dall’altro nel maggio del 1904. Influenzarono probabilmente Bragaglia per il fotodinamismo non Marinetti che all’epoca del 1930 puntava alla fotografia come mezzo di celebrazione del regime fascista.

Il “Manifesto del Fotodinamismo Futurista”, pubblicato nel 1913 è considerato il primo tentativo di teorizzare un approccio futurista alla fotografia, proponendo il fotodinamismo come una tecnica in grado di catturare il movimento e l’energia, andando oltre la mera rappresentazione statica della realtà. Redatto da Anton Giulio Bragaglia nel 1913, (tre anni prima della morte di Boccioni) propone la fotografia come un’arte autonoma, capace di superare la mera riproduzione della realtà per esprimere dinamismo, energia e movimento, in linea con i principi del futurismo. Fotodinamismo, si differenzia dalla fotografia tradizionale e dalla cronofotografia di Étienne-Jules Marey e Eadweard Muybridge. Al centro della tecnica artistica proposta c’era la cattura della “sensazione” del movimento utilizzando esposizioni multiple e tempi di scatto lunghi per creare immagini che rivelassero traiettorie e scie di movimento. Si trovano abbastanza riferimenti, immagini di fotodinamismo e copertine della pubblicazione del manifesto a questo indirizzo https://www.arengario.it/futurismo/il-fotodinamismo-di-bragaglia-immaginario-1911-e-reale-1913/

Il manifesto di Marinetti e Tato del 1930 rappresenta una critica ed è indipendente dal lavoro di Bragaglia (che infatti non è tra i firmatari) ben rappresentando  il secondo futurismo, quello intriso di fascismo. Il manifesto del 1930 abbraccia una visione più radicale e tecnologica, dove la fotografia diventa non solo un’arte autonoma, ma anche uno strumento politico e ideologico. I due manifesti (e tramite loro la fotografia stessa) riflettono così momenti diversi del futurismo nella sua evoluzione dall’inizio degli anni ’10 agli anni ‘30. Ma sono anche molto utili per studiare lo sviluppo della fotografia di quel periodo storico.

La questione della evoluzione del futurismo e la sua contaminazione con altre avanguardie a cavallo del ‘900 sono splendidamente trattate nella bellissima opera editoriale del catalogo della mostra del 1986 “Futurismo e Futurismi”, che si tenne in occasione della inaugurazione di Palazzo Grassi a Venezia, curata da un gruppo di studiosi eccellenti coordinati da Pontus Hultén. Sfogliando e leggendo il ponderoso ed affascinante volume appaiono i limiti della mostra romana sul futurismo per quanto riguarda la fotografia e non solo, ad esempio il rapporto con il cubismo e l’ambito culturale parigino. E anche questo aspetto del futurismo nella mostra del 1986 (voluta da Agnelli !) era autorevolmente evidenziato da Hultén con opere esposte e documentazione.  

Pur riconoscendo l’importanza innovativa del futurismo, Hultén non ignorava la sua dimensione ideologica, legata all’esaltazione della guerra e alla vicinanza con il fascismo, evitando così una celebrazione acritica del movimento che invece è presente nella mostra di Roma. Se poi si volesse approfondire il tema del futurismo attraverso gli atti del convegno “FUTURISMO, CULTURA E POLITICA” organizzato nel 1984 a latere ed in consonanza con la mostra, lo trovate qui https://www.byterfly.eu/islandora/object/librib%3A88044#page/6/mode/2up ci si tufferebbe in un mare di bellissimi saggi scritti da autorevoli studiosi.

Uno tra tutti “Futurismo e fascismo” di Niccolò Zapponi (lo trovate all’URL sopracitato) nel quale tra l’altro è scritto: «Questi [ Marinetti nota d.a.], infatti, tre anni dopo [ 1941 nota d.a.] onorava di una prefazione elogiativa il libello “Inghilterra fogna di passatismo”, del futurista sardo Gaetano Pattarozzi. “Fogna di passatismo” in copertina, l’Inghilterra diventava, all’interno dell’opera di Pattarozzi, “fogna di ebraismo”, e tutto il libro, in verità, trasudava il più scervellato livore antiebraico. Allora, Marinetti si accontentò di far seguire ai complimenti all’autore, la citazione di proprie sfuriate giovanili contro il tradizionalismo britannico. E poi l’anno dopo nel ’42 “democrazia comunismo ebraismo” erano “passatismi polverosi ugualmente deprimenti o traditori”».

Allora ho meglio compreso perché mi hanno disturbato le frequenti celebrazioni della guerra all’interno della mostra mentre le scoperte scientifiche, evocate dalla presentazione, non si mostrano a sufficienza o forse stanno nel posto sbagliato. Come dice Argan “Al momento della scelta politica prevale il nazionalismo: chiedono [i futuristi] la guerra “igiene del mondo” e vi partecipano da volontari (…..): dopo la guerra , tuttavia il movimento si disintegra ….. “. Avrei preferito nella mostra allo GNAMC un trattamento più critico e consapevole di questo aspetto, che lasciasse meno spazio a riportare esclusivamente la datata e fuorviante glorificazione. In conclusione mi sento più vicino a “Futurismo e Futurismi” che a “Il tempo del futurismo”.

Tenendo a mente i canoni e lo spirito del primo futurismo depurato dall’estremismo polemico sarebbe oggi opportuno investigare il ruolo delle macchine (e anche della IA) nel loro impatto sull’estetica e quindi sulla fotografia tenendo a mente che lo scopo della fotografia futurista, quello di stupire attraverso effetti visivi innovativi, è ancora oggi lo scopo dei produttori di hardware e di software per la fotografia, della maggior parte dei selfisti, dei vlogger e di molti fotografi.

Mauro Salvemini


  1. L’opera di Gabriele Devecchi è stata scattata da Mauro Salvemini e la pubblicazione è stata autorizzata da Matteo Devecchi. ↩︎