Dead End: A New Border Narrative. Le complessità del confine nel libro di Nicola Moscelli

Da sempre la fotografia ha fra le proprie qualità quella di innescare una certa curiosità per il fatto ripreso nel riquadro, far nascere domande ed avviare delle indagini più o meno approfondite.

Succede soprattutto con le fotografie scattate da altri.

E se questi “altri” fossero le Google Car, quelle strambe auto allestite con molteplici fotocamere sul tetto, che viaggiano continuamente nel mondo mappando il territorio, per restituire delle immagini fruibili poi in streetview, la famosa applicazione dell’azienda informatica statunitense che offre servizi online ?

Proprio queste immagini sono state l’incipit per il lungo e strutturato lavoro del fotografo Nicola Moscelli, dal titolo Dead End: A New Border Narrative. Un vero e proprio documentario visivo, a cavallo tra la post fotografia e la ricerca d’archivio, corredato da stampe, cartoline d’epoca e cartografie che stimolano l’analisi di un tema sempre attuale, stratificato, volte brutale ma sempre complesso: il confine.

Nicola, con questo progetto, ci dimostra quanto la fotografia contemporanea sia sempre più oggetto di contaminazione fra varie discipline, crocevia di fatti e vite vissute, un meticcio incrocio di immaginazioni, stravaganze e singolarità. Ma sempre orchestrata e direzionata da idee potenti, competenza ed impegno.

Qual è la tua personale storia della fotografia?

Mi sono avvicinato alla fotografia molto tardi: la mia prima macchina fotografica mi è stata regalata per la laurea. Era una reflex digitale con automatismi che non riuscivo a padroneggiare, per cui presto decisi di passare alla fotografia analogica. La pellicola offre un numero molto limitato di pose, dunque ci si sforza di ottenere il meglio da ogni scatto. In più, ogni errore commesso nei settaggi della macchina fotografica ti rimane impresso… perché è impresso sulla pellicola. Ho imparato così, da autodidatta, sperimentando in particolar modo su 35 mm e medio formato.

In questo percorso di autoapprendimento ho iniziato a visitare mostre fotografiche ovunque mi trovassi e a studiare e collezionare libri di fotografi i cui lavori mi colpivano. Le mie prime serie fotografiche (Ummerki e Monogatari) sono i risultati di un lavoro di revisione e selezione a posteriori – a distanza di diversi mesi –, alla ricerca di una coerenza, un filo conduttore che mettesse in relazione parte del materiale scattato di ritorno da viaggi in posti lontani (Islanda e Giappone, rispettivamente).

A Mezzogiorno invece è una serie ancora aperta, perché riflette il mio nuovo modo di percepire e sentire il meridione ogniqualvolta mi capita di tornarci. Vivendo ormai da tanto tempo all’estero, tornare nel sud Italia comporta sempre un riemergere di sensazioni dolci-amare, contrastanti, che mi portano a rielaborare luoghi e situazioni che prima trovavo ordinari. Mi piacerebbe collaborare con un poeta meridionale per trovare versi da accompagnare a queste foto, e un giorno magari chissà, farne una fanzine.

Con Dead End c’è stato un cambio di passo. C’era la voglia – direi anzi l’esigenza – da parte mia di misurarmi con un progetto di ricerca visuale a lungo termine, di pianificare, di approfondire l’arte di documentare e raccontare. In questo percorso ho avuto la fortuna di conoscere e incontrare Steve Bisson, che mi ha seguito in questo processo di crescita.

Ognuno di questi lavori in un modo o nell’altro restituisce una narrazione con particolare attenzione al territorio e al modo in cui l’uomo si relaziona con esso.

Estratto dal libro Dead End: A New Border Narrative di Nicola Moscelli

In Dead End: A New Border Narrative affronti il tema del confine, fra post-fotografia, documenti di archivio e materiale vintage che hai collezionato appositamente. Come nasce l’idea, quali i motivi che ti hanno spinto ad approfondire questo tema e quali strumenti hai utilizzato?

Tutto è partito dalla genuina curiosità di scoprire quali tracce e quali segni sul territorio corrispondessero concretamente alla linea tracciata sulla mappa che delimita il confine tra due paesi. Contestualmente, ho scoperto i documentari post-fotografici di artisti visuali quali Doug Rickard, Mishka Henner e Michael Wolf, anch’essi basati sull’uso di Streetview come medium d’investigazione. I loro lavori mi hanno ispirato e motivato a trasformare questa curiosità in un progetto di sostanza.

L’attenzione è ricaduta inevitabilmente sul confine tra Stati Uniti e Messico. È il confine più raccontato nei film hollywoodiani con cui siamo cresciuti. Inoltre, è stato ed è ripetutamente al centro di dibattiti mediatici a causa della sua continua fortificazione e delle discutibili politiche di immigrazione della passata amministrazione statunitense. La scelta di esplorare quel particolare confine riflette la necessità di osservare e comprendere le problematiche che ogni confine del mondo per forza di cose si trova ad affrontare o affronterà.

Il titolo del libro rimanda al doppio significato del termine inglese “dead end”, inteso sia, in senso topologico, come strada senza uscita (tutte le strade che s’interrompono in prossimità del muro tra i due Paesi) sia, figurativamente, come situazione disperata, senza soluzione. In un certo senso, il titolo del libro ha tracciato il modus operandi. Una prima importante fase della ricerca visuale è consistita nel percorrere il confine su entrambi i lati, annotare e decifrare quello che osservavo. Dagli appunti che prendevo è poi partita una seconda fase di ricerca volta a contestualizzare e approfondire quello che avevo appena osservato, una ricerca per la quale mi sono avvalso di una vasta gamma di fonti. È stato un vero e proprio processo iterativo, in cui leggendo trovavo indicazioni su nuove aree da esplorare e i luoghi mi ispiravano nuovi temi da approfondire.

In alcune circostanze mi sono lasciato ispirare dalla toponomastica: spesso mi sono imbattuto in nomi di strade che ricordano personaggi storici più o meno noti, che hanno avuto a che fare con problematiche legate al confine o le cui vite in qualche modo sono state segnate da situazioni difficili o disperate. In altre circostanze i luoghi che visitavo erano legati a eventi storici o avvenimenti drammatici che hanno segnato tante vite; dunque, ho tentato di rievocarli attraverso articoli di giornale, citazioni di interviste, testimonianze dirette, nonché estratti da documenti governativi.

Non mancano i riferimenti socioculturali, riportati attraverso citazioni di scritti, poesie, testi di canzoni, battute di film associate alle immagini di Streetview. Ho anche cercato di riportare il sentire comune in riferimento a determinati luoghi andando a spulciare recensioni di siti web, canali social, o citando testi di inserzioni pubblicitarie. Questo tipo di ricerca mi ha preso gran parte del tempo, ma mi ha appassionato molto e anche divertito.

Ci racconti meglio uno dei luoghi ai quali hai associato commenti dal web?
Puerto Peñasco è una località turistica in Messico zeppa di resorts che tradizionalmente attira moltissimi nordamericani. È una destinazione talmente nota che gli statunitensi le hanno attribuito un altro nome. La chiamano “Rocky Point”, o anche “Arizona’s Beach” (peccato però che l’Arizona non sia bagnato dal mare).

Dunque, a un’immagine catturata a Puerto Peñasco non potevo non associare una recensione tratta da Tripadvisor di un utente entusiasta della sua prima gita familiare in Messico; ci racconta come si mangia bene, quanto poco si spende, quanto sorprendentemente in buono stato siano le autostrade messicane… e ci tiene ad aggiungere di non essere incappato in alcun pericolo o situazione spiacevole.

Estratto dal libro Dead End: A New Border Narrative di Nicola Moscelli

Ti sei mai domandato se fossi legittimato nel raccontare delle storie seduto comodamente davanti ad un computer, lontanissimo dai luoghi che hai descritto?

È un problema che mi sono posto fin dall’inizio. In fin dei conti, a che titolo un italiano che vive nei Paesi Bassi parla di un confine che dista oltre 8500 km e che non ha nemmeno mai visitato?

Quello che cerco di far valere col mio lavoro, però, è l’assunto contrario: il mio essere lontano ed estraneo alle dinamiche del confine mi permette di studiarle e osservarle da un punto di vista non dico oggettivo, ma perlomeno più equilibrato.

In fin dei conti la legittimazione te la dà la conoscenza, invero la ricerca e lo studio critico e rigoroso delle fonti. La mia è stata una metodica operazione di aggregazione delle informazioni ottenute dalle fonti più disparate, incrociando dati e accertandone l’autenticità. E con approccio scientifico, laddove la tentazione di trarre delle conclusioni è stata forte, mi sono limitato a mostrare le statistiche ufficiali, i numeri. Perché quelli non mentono mai.

Ad esempio, in uno dei miei approfondimenti testuali ispirati dalle immagini del libro, mi capita di parlare della particolare relazione tra Coca-Cola e Messico. Ebbene, il Messico è il primo consumatore mondiale di Coca-Cola (634 bicchieri pro-capite all’anno) seguito dagli Stati Uniti (618). La popolazione messicana ha anche problemi seri di sovrappeso e obesità (64,4 % in sovrappeso e 28 % di obesi) e incidenza del diabete (14,1 milioni di diabetici). Non posso avventurarmi in conclusioni che non mi spettano, ma sicuramente esistono delle correlazioni, perché i numeri parlano chiaro.

Estratto dal libro Dead End: A New Border Narrative di Nicola Moscelli

Fra le numerose storie che hai incrociato, ce n’è qualcuna che ti ha colpito di più nel profondo?

Senza dubbio il massacro di Villas del Salvárcar a Ciudad Juárez, perpetrato dai narcos. La notte del 30 gennaio 2010 una sessantina di studenti di scuola superiore e universitari festeggiavano i 18 anni di un ragazzo del posto. Dei sicari del cartel La Línea chiusero la strada con le loro auto e aprirono il fuoco sui ragazzi uccidendone 16 e ferendone 12, pensando che a questa festa ci fossero membri di una banda rivale.

Nelle indagini successive si scoprì che tre delle armi di grosso calibro utilizzate dai sicari erano state contrabbandate di proposito dagli americani nell’ambito dell’operazione Fast and Furious, un’operazione di tracciamento di armi che mirava a identificare i leader del cartello di alto profilo che le avevano ricevute.

In tutta la sua tragica crudezza, questa storia dimostra l’impossibilità di trattare un qualsivoglia problema legato al confine come se dipendesse unicamente da uno dei due Paesi. Dunque, ci si accorge che il confine non è mai una cesura netta: piuttosto un tessuto innervato da molteplici relazioni di causa ed effetto che, sebbene spesso poco percettibili, ne ampliano la definizione.

Streetview attualmente mostra l’immagine del memoriale che oggi sostituisce quella villa a ricordo delle vittime, ma mi sono accorto che la Google Car era passata anche 8 mesi prima del tragico evento. Vedere quella villetta a schiera con un canestro davanti al cancello d’ingresso mi ha commosso oltre misura. E ancor più commovente è la citazione che nel libro accompagna la foto del memoriale. Sono le parole della madre di due ragazzi rimasti uccisi, con le quali si rivolge al presidente messicano dicendogli che a Ciudad Juárez non è benvenuto, che recitano così: “Mi scusi, signor Presidente. Non posso dirle benvenuto, perché per me lei non è benvenuto, nessuno è benvenuto. Perché qui ci sono stati omicidi per due anni e nessuno ha voluto fare giustizia. Juarez è in lutto. Hanno chiamato i miei figli membri di bande. È una bugia. Uno frequentava il liceo e l’altro l’università, e non avevano tempo di stare per strada. Studiavano e lavoravano. E quello che voglio è giustizia. Scommetto che, se fosse stato uno dei suoi figli, sarebbe andato a cercare l’assassino sotto ogni pietra, ma siccome io non ho le risorse necessarie, non posso cercarlo.”

Piccola digressione per restituire la dimensione della violenza di quegli anni a Ciudad Juárez: il mandante di quel massacro, José Antonio Acosta-Hernandez (anche conosciuto come “El Diez”) catturato ed estradato negli Stati Uniti dove attualmente sconta l’ergastolo, ha confessato di aver comandato e organizzato oltre 1500 omicidi.

Estratto dal libro Dead End: A New Border Narrative di Nicola Moscelli

Spesso Streetview ci regala delle istantanee surreali ed altre volte curiose, che sono comunque vere e proprie storie di vita normale. Nella tua ricognizione visuale, esiste un’immagine di Streetview che ti ha sorpreso più di altre?

Ce ne sono diverse, ma ce n’è una in particolare che trovo estremamente poetica. Risale a febbraio 2016 ed è ambientata a Tecate, lato Messico, lungo uno stradone trafficato che costeggia il muro. Mostra un uomo avanti con gli anni chinato a prendersi cura di alcune piante a pochissima distanza dal muro. Tanta poetica umanità che contrasta con tutto quello che c’è intorno.

Estratto dal libro Dead End: A New Border Narrative di Nicola Moscelli

Il libro sarà oggetto di un design e di scelte stilistiche ben precise, ce ne vuoi parlare?

Il libro sarà in formato verticale e con rilegatura svizzera, in maniera tale da poter visualizzare al meglio le immagini su doppia pagina. Le sezioni all’interno del libro saranno organizzate in maniera simmetrica, speculare. Si viaggia da ovest verso est lungo il lato messicano del confine per poi ripercorrere la storia e l’evoluzione del confine tra i due paesi attraverso cartoline e stampe antiche nella sezione centrale del libro e riprendere il viaggio contemporaneo lato Stati Uniti spostandosi da est a ovest.

La prima scelta stilistica è stata quella di utilizzare un crop panoramico per le immagini di Streetview e di virarle in bianco e nero, in maniera tale da stabilire una sorta di continuità virtuale con la tradizione americana della fotografia paesaggistica documentale. Gran parte delle immagini è accompagnata da citazioni che si riferiscono a temi evocati dalle immagini stesse. Per queste immagini, che saranno presentate singolarmente su doppia pagina, ci stiamo orientando sulla scelta di una carta porosa in grado di assorbire l’inchiostro per una resa di stampa ottimale. La sezione del materiale d’archivio, invece, sarà stampata su carta differente, così da permettere un più agile accesso ai vari contenuti.

In sintesi, ogni aspetto del libro – dall’impaginazione all’organizzazione delle foto, dal layout al font – è stato studiato in maniera tale da enfatizzare la vocazione archivistica del progetto. Roberto D’Amico (grafico e designer del libro) sta anche lavorando a una mappa cartografica che restituisca la dimensione storica e geografica dei temi trattati.

Infine, il libro sarà completato da una prefazione scritta da Maceo Montoya, professore di cultura Chicana (termine usato per designare la popolazione statunitense di origine messicana che prova orgoglio per la propria identità etnica, ndr.) presso l’università di Davis in California, nonché direttore della rivista di letteratura latino-americana Huizache e artista visuale.

Il tuo libro si sta avvicinando al termine della raccolta fondi su Indiegogo, e presto vedrà la luce. Prova a convincere i nostri lettori a contribuire alla raccolta fondi!

Intanto spero con questa intervista di avervi trasmesso la passione e l’entusiasmo con i quali mi sono dedicato a questo libro. È un libro al quale tengo molto non solo perché è il primo, ma anche perché a questo lavoro ho dedicato diverse notti durante la pandemia e negli ultimi tre anni. Mi ha permesso di fare quello che più mi piace: viaggiare, seppur virtualmente, in un contesto in cui non era possibile nemmeno uscire di casa.

Con questo libro ho cercato di evidenziare come il confine tra Stati Uniti e Messico abbia ramificazioni storiche e socioculturali tra le più disparate. Si trattano temi quali l’immigrazione clandestina, i narcos, la guerra alla droga, la proliferazione di armi, la prostituzione, il contrabbando, l’odio razziale verso i latinos, ma anche il turismo classico, quello dentale, quello sessuale, la guerra in Vietnam, Pancho Villa, Adolf Hitler, gli indiani d’America, gli aztechi, la Coca-Cola, il chewing-gum, la rivoluzione messicana. E sono sicuro che in questo momento sto tralasciando qualcosa…

Fatevi un bel regalo e comprate questo libro. Il libro è in prevendita su Indiegogo e attualmente ci sono ancora copie al prezzo fortemente scontato di 38 Euro (il prezzo di listino sarà di 50 Euro). I testi sono in inglese, ma credo che chiunque abbia una conoscenza sufficiente della lingua sarà in grado di comprenderli agevolmente.

https://nicolamoscelli.com/
https://www.indiegogo.com/projects/dead-end–14#/



Mirko Bonfanti