GABRIELE BASILICO E MILANO. Il rapporto tra il grande fotografo e la sua città in mostra alla Triennale di Milano

“Milano negli anni è diventata per me come un porto di mare, un luogo privato dal quale partire per altri mari, per altre città, per poi ritornare e quindi ripartire. Un porto, cioè un luogo fermo, stabile, dove accumulare reperti e impressioni di luoghi lontani”.

“Posso vedere frammenti di Milano, della mia storia di Milano, in giro per l’Europa e, in senso opposto, quando torno da un’altra città, per analogia o per contrapposizione, ritrovo in Milano nuovi segni prima sconosciuti” (G. Basilico).

In queste affermazioni di Basilico, che ne rivelano lo sguardo cosmopolita ma profondamente radicato nella città natale, è condensato in nuce il senso della duplice mostra ospitata a Palazzo Reale e alla Triennale di Milano Gabriele Basilico. Le mie città”, omaggio e riconoscimento da parte del capoluogo lombardo e di due sue importanti istituzioni a uno tra i più autorevoli interpreti della fotografia italiana del Novecento nel decennale della sua scomparsa.

La mostra, promossa e prodotta dal Comune di Milano, Palazzo Reale e Triennale Milano insieme a Electa con la collaborazione scientifica dell’Archivio Gabriele Basilico, è dedicata al paesaggio urbano e alle sue trasformazioni, uno degli ambiti di ricerca privilegiati del fotografo, con una selezione dei suoi lavori sulle grandi committenze internazionali a Palazzo Reale e un focus sulla città di Milano alla Triennale.

La sezione – più intimistica – dedicata a Milano, in particolare, ospitata fino al 7 gennaio 2023 alla Triennale, è stata realizzata a cura di Giovanna Calvenzi e Matteo Balduzzi, in collaborazione con il Museo di Fotografia Contemporanea, il cui archivio conserva numerose immagini del fotografo. Qui, in un’ istituzione a cui Basilico è sempre stato legato quale frequentatore o protagonista di mostre e conferenze, all’interno di quel Palazzo dell’Arte di cui amava l’architettura, è esposta un’ampia selezione di fotografie di Milano e delle sue periferie, frutto di un lavoro pluridecennale sulla città, della quale egli ha indagato l’architettura, il tessuto edilizio, lo sviluppo urbano e le trasformazioni, facendo emergere un particolare rapporto con essa (“Milano non può essere come altre città, è un luogo speciale, è il mio luogo di appartenenza” – G.B.) e restituendone una rappresentazione più complessa e reale rispetto all’immaginario collettivo, attraverso “immagini che danno sostanza e concretezza a una memoria collettiva che ancora oggi permea di sé Milano” (G. Sala), simbolo di una profonda identità cittadina nonostante le trasformazioni degli ultimi anni.

Di formazione architetto, guidato da un profondo interesse per le architetture e per i manufatti che nel tempo hanno dato forma alle città, Gabriele Basilico (1944-2013), grazie ad uno stile documentario caratterizzato da una “una forte componente emotiva e una certa libertà di movimento e di sguardo” nel cogliere differenti punti di vista, per anni ha immortalato lo spazio urbano e i luoghi del lavoro, cercando di raccontarne la complessità architettonica e il costante processo di stratificazione in rapporto con l’uomo, attraverso una fotografia per lo più in bianco e nero, asciutta ed essenziale, che propone nuove prospettive e ipotesi di lettura dello spazio, avvicinandosi progressivamente al soggetto, alla ricerca della “misura giusta tra me, l’occhio e lo spazio”(G. B.) in grado di restituire il senso delle architetture e del contesto che le circonda.

Gabriele Basilico, Autoritratto/Self portrait, 2011©Gabriele Basilico/Archivio Gabriele Basilico
Gabriele Basilico, Autoritratto/Self portrait, 2011©Gabriele Basilico/Archivio Gabriele Basilico

All’interno di questo suo lavoro di ricerca Milano, più di ogni altro luogo, è stata, “fotograficamente parlando, un cantiere di sperimentazione” (G. B.), che gli ha permesso di affrontare molteplici temi ed effettuare indagini ampie ed organiche, anche in assenza di committenza ma con un “mandato sociale che nessuno mi aveva mai dato” (G. B.), punto di partenza e arrivo di una continua attività di analisi delle grandi città volta a testimoniarne il ruolo di luoghi del divenire, dove emergono con più forza le contraddizioni del mondo contemporaneo, in una continua tensione tra centro storico compatto e una dimensione metropolitana irrisolta.

La mostra, preceduta da una biografia illustrata del fotografo, arricchita da due contributi video in parte inediti e accompagnata da un doppio catalogo di Electa e da un podcast realizzato da Gianni Biondillo, testimonia questa sua incessante ricerca, rivelando, attraverso 13 differenti serie fotografiche, autonome ma in dialogo reciproco, come negli anni il suo sguardo sia cambiato e come sia cambiata la città, in un excursus storico (dagli anni Settanta agli anni Duemila) e spaziale (dal centro alla periferia, oltre i confini amministrativi), di cui egli si è fatto testimone “attraverso occhi insieme delicati e implacabili, […] in anni di sopralluoghi e spostamenti con il banco ottico: [quella] Milano di pietra, asfalto, cemento e vetro che […] per quarant’anni ha magicamente raccontato, nei fili perfetti che solcano i suoi cieli in bianco e nero e soprattutto nei vuoti, nell’assenza dei corpi e dei gesti della vita quotidiana” (S. Boeri).

Una delle serie fotografiche di Basilico in mostra alla Triennale (foto dell’autore)
Una delle serie fotografiche di Basilico in mostra alla Triennale (foto dell’autore)

I campi d’indagine selezionati, che appartengono ad altrettanti progetti dell’autore, trattano in maniera omogenea parti diverse di città, spaziando tra temi e modalità di rappresentazione differenti in rapporto all’organismo urbano, a partire dagli esordi della sua carriera fino agli ultimi lavori, “in una traiettoria che descrive per frammenti la trasformazione di Milano”: una sorta di passeggiata nel tempo e nello spazio che il visitatore può compiere liberamente attraverso centinaia di opere a parete e in teca, all’interno di un allestimento scarno ed essenziale ideato da Francesco Librizzi Studio. Qui il bianco dello sfondo e il nero delle strutture si rapportano – facendole risaltare – al bianco e nero delle fotografie, mentre lo spazio aperto permette allo sguardo – che rappresenta sia il punto di vista dell’autore che dell’osservatore – di abbracciare contemporaneamente tutte le opere esposte, accompagnandolo verso una visione sempre più ravvicinata delle singole inquadrature. Unica nota di colore, oltre alle immagini più recenti del fotografo, è il rosso minio (colore della vernice antiruggine dei cantieri), utilizzato per i supporti dedicati alla linea narrativa dei curatori, dove brevi testi contestualizzano le serie fotografiche.

L’allestimento della mostra di Basilico alla Triennale (foto dell’autore)
L’allestimento della mostra di Basilico alla Triennale (foto dell’autore)

Nelle opere in mostra grande spazio è dato alla raffigurazione dei luoghi industriali e delle periferie di ieri e di oggi, temi che attraversano la parabola professionale di Basilico, da sempre profondamente attratto “dalle zone di confine, dai margini delle città, dove le tipologie edilizie si confondono e dove si sviluppa e prende forma incessantemente una nuova estetica del paesaggio” (G. B.).

Gabriele Basilico, Milano 1975-80©Gabriele Basilico/Archivio Gabriele Basilico
Gabriele Basilico, Milano 1975-80©Gabriele Basilico/Archivio Gabriele Basilico

Partendo infatti dai primi lavori degli anni ’70 “inevitabilmente immersi nel clima del reportage sociale” come Proletariato giovanile (1976), dove il fotografo indaga la condizione di alcuni giovani contestatori milanesi (e dove protagoniste sono le persone, che scompariranno progressivamente nei progetti successivi) e Ambiente urbano (1975-80), dedicato alle periferie milanesi (da Quartoggiaro al Gallaratese, da Baggio alla Barona, da Bovisa a Corvetto), egli si sofferma sui “luoghi legati alla storia operaia della città” in un momento in cui “l’impatto con la de-industrializzazione appare ormai evidente”.

Alcune immagini di “Proletariato giovanile” in mostra alla Triennale (foto dell’autore)
Alcune immagini di “Proletariato giovanile” in mostra alla Triennale (foto dell’autore)

E’ però solo con il celeberrimo “Milano. Ritratti di fabbriche” (1978-80), il primo lavoro sistematico e consapevole dedicato alle periferie industriali, che egli esprime al meglio questa sua ricerca, catalogando numerosi stabilimenti industriali milanesi in via di dismissione attraverso un linguaggio inedito e sperimentale, sulla scia dei coniugi Becher della scuola di Dusseldorf, con immagini frontali e ravvicinate “dalla controllata, consapevole tensione metafisica, […] con un chiaroscuro intenso e una prospettiva sfuggente e basculata, nello stile sofisticato anni ’30” (I. Zannier), che isolano le architetture rispetto allo spazio urbano: un progetto “ambizioso e un po’ ingenuo di fotografare tutta la città, [con] un linguaggio nuovo, in grande libertà e senza condizionamenti ideologici” (G. B.).

Gabriele Basilico, Milano. Ritratti di fabbriche 1978-80@Gabriele Basilico/Archivio Gabriele Basilico
Gabriele Basilico, Milano. Ritratti di fabbriche 1978-80@Gabriele Basilico/Archivio Gabriele Basilico

Questo lavoro, che per lui ha segnato il passaggio dal reportage alla fotografia di architettura e paesaggio, ha dato vita a un enorme corpus di immagini, che implicitamente indagano i risvolti sociali della società contemporanea, confluite in un testo che ha costituito “uno dei libri fondamentali per la fotografia italiana e un punto di svolta nella ricerca dell’artista, […] testimonianza preziosa del crepuscolo dell’era industriale e di un profondo mutamento nell’identità della città”.

La serie “Ritratti di fabbriche” in mostra alla Triennale (foto dell’autore)
La serie “Ritratti di fabbriche” in mostra alla Triennale (foto dell’autore)

Il declino dell’era industriale emerge ancor più marcato nella potenza visiva delle immagini di Sesto Falck (1999), con cui Basilico documenta i lavori di dismissione delle Acciaierie e Ferriere Lombarde Falck a Sesto San Giovanni, cittadina alle porte di Milano al di fuori dai confini amministrativi dove i “resti delle cattedrali del lavoro delle aree industriali dismesse si alternano al frammentato edilizio della ex Stalingrado d’Italia”. Essa è protagonista anche della serie Archivio dello spazio (1992-1993), quale sezione di un progetto più ampio avviato negli anni ‘80 dall’Ufficio Beni Culturali della Provincia di Milano finalizzato a rilevare il patrimonio architettonico e ambientale di quasi 200 Comuni all’interno del relativo contesto, con 58 fotografi impegnati dal 1987 al 1997 in sette campagne fotografiche (di cui Basilico è l’unico a partecipare a tutte), accompagnate da mostre e conferenze. Qui, ancora una volta, l’immagine diventa strumento di catalogazione volto alla conoscenza, quale memoria, di un territorio che sta per scomparire.

La serie “Archivio dello spazio” in mostra alla Triennale (foto dell’autore)
La serie “Archivio dello spazio” in mostra alla Triennale (foto dell’autore)

La rappresentazione delle trasformazioni del territorio è un tema ricorrente nel suo lavoro, declinato in vario modo in progetti di committenza pubblica e privata insieme a fotografi di fama internazionale, come in Milano senza confini (1998), commissionato dalla Provincia di Milano, quale ideale completamento delle campagne fotografiche di Archivio dello Spazio, per “leggere la città nella sua complessità fisica ma anche simbolica”, dove Basilico si concentra sul margine ovest di Milano nelle aree di trasformazione lungo la Vigevanese, caratterizzate da interventi postmoderni fuori scala di alto impatto sul territorio, e in Paesaggio prossimo (2006-2007), dove per la prima volta racconta la città a colori (lo farà nuovamente anni dopo quale direttore della fotografia per il film Il mio domani di Marina Spada), “esplorando il concetto di confine” ed oltrepassandone i limiti amministrativi alla ricerca di nuovi interventi edilizi ed urbanistici “destinati a ridefinire, connettere e innervare la dimensione metropolitana della città”.

Lo stesso avviene in La città interrotta (1995-96), lavoro commissionato dall’editore catalano Actar (Ciudad interrumpida) che parla di Milano senza mai nominarla, concentrandosi sui “limiti e sulle contraddizioni dello sviluppo urbanistico e sociale evocate dal titolo e sull’incompiutezza degli scenari urbani immaginati durante il boom economico” del centro storico e della periferia sud-ovest relativamente all’edilizia residenziale e terziaria degli anni ’60: qui emerge il valore politico della fotografia di Basilico, per il quale “nelle città, il luogo per eccellenza della modernità, la concentrazione di problemi e destini in questa fine di secolo sta dando inizio a un rapidissimo cambiamento nella vita sociale e personale della gente trasformando la condizione umana in una condizione urbana” (G. B.).

Immagini di Sesto San Giovanni e Milano in mostra alla Triennale (foto dell’autore)
Immagini di Sesto San Giovanni e Milano in mostra alla Triennale (foto dell’autore)

“La città vera, la città che mi interessa raccontare, contiene questa mescolanza, tra eccellenza e mediocrità, tra centro e periferia, anche nella più recente ricomposizione dei ruoli”.

Ammiro le parti belle e le parti misere del suo corpo, dai quartieri, alle case, ai muri, ai selciati. Ha una sua bellezza e una sua bruttezza, esterne, visibili, che sono incarnazione della sua storia” (G. Basilico).

L’amore per la città di Milano non si esaurisce infatti nelle indagini sulle sue periferie, ma si nutre anche dei suoi aspetti più monumentali e riconoscibili, evidenziati ad esempio nel Restauro del tetto del Duomo (2012) o nel prezioso reportage sull’architettura milanese degli anni Venti-Trenta (Immagini del Novecento – 1985), progetto editoriale coordinato da Fulvio Irace che, grazie alle immagini di Basilico e di altri fotografi (per Vittorio Gregotti “i migliori lettori dell’area culturale del Novecento architettonico”), ha permesso la riscoperta di maestri dell’architettura italiana allora poco noti come Muzio, Portaluppi, Ponti, Lancia e Greppi.

Gabriele Basilico, Milano 1980©Gabriele Basilico/Archivio Gabriele Basilico
Gabriele Basilico, Milano 1980©Gabriele Basilico/Archivio Gabriele Basilico

In Milano di notte (1989), invece, commissionato da AEM (Azienda Elettrica Municipale), egli indaga la città di notte operando in una condizione di luce artificiale per lui inconsueta, ritraendone i monumenti e gli spazi pubblici più celebri, dal centro alla periferia, “alla ricerca di una stessa sospesa grandiosità”.

Gabriele Basilico, Milano 1989©Gabriele Basilico/Archivio Gabriele Basilico
Gabriele Basilico, Milano 1989©Gabriele Basilico/Archivio Gabriele Basilico

Chiude la mostra dal punto di vista cronologico, quale autore ormai affermato a livello internazionale, l’incarico – da parte dell’impresa costruttrice – per la documentazione dei lavori di trasformazione – dai movimenti terra al completamento degli edifici e degli spazi urbani – del quartiere di Porta Nuova (2006-2012): “luogo fortemente simbolico per Milano che collega idealmente lo sviluppo del boom economico – quando prende forma il concetto di centro direzionale – con l’attuale dimensione di finanza globale”, mostrando le potenzialità e le contraddizioni di una città in profonda trasformazione, che Basilico “impara a ritrovare ovunque nel mondo”.

Gabriele Basilico, Milano 2008©Gabriele Basilico/Archivio Gabriele Basilico
Gabriele Basilico, Milano 2008©Gabriele Basilico/Archivio Gabriele Basilico

Patrizia Dellavedova

Foto di copertina: Gabriele Basilico, Milano 1996©Gabriele Basilico/Archivio Gabriele Basilico.