L’uso odierno delle antiche tecniche di stampa viene spesso motivato, da chi le impiega, dall’intenzione di fornire all’immagine un’estetica “originale” quasi rarefatta.
Se paragonata ai risultati che si ottengono con l’impiego di mezzi del tempo presente, al risultato ottenuto con questa ricercata forma di espressione, si vengono ad aggiungere altre due motivazioni per prediligerne l’utilizzo: l’intenzione di valorizzare il processo creativo manuale e la volontà di preservare tradizioni artistiche, così che non vadano perse o dimenticate.
Anche se queste tecniche possono richiedere più tempo e sforzo di applicazione rispetto alle moderne alternative, hanno il pregio di offrire un approccio diverso e prezioso all’arte, alla stampa e al processo creativo nel complesso.
È importante notare che l’impiego di tali tecniche di stampa fotografica richiedono una conoscenza approfondita dei processi chimici coinvolti, nonché una certa abilità tecnica di applicazione.
Inoltre, i materiali e le attrezzature necessari per giungere al risultato finale, possono non essere di facile reperibilità. Tuttavia, a coloro che sono disposti a investire tempo e sforzi in queste attività, verrà offerta una gratificante esperienza artistica e saranno ripagati per ogni difficoltà incontrata.
L’esclusività e l’autenticità della stampa finale e la possibilità di sperimentare l’unione di diverse tecniche sono alcune delle peculiarità che caratterizzano questi processi, che hanno il pregio di conferire alle immagini un’atmosfera unica, caratterizzata da tonalità, texture e dettagli particolari; la manipolazione fisica del materiale con il conseguente coinvolgimento diretto e manuale dell’artista nell’esecuzione, donano non solo un risultato caratteristico ma anche la soddisfazione di aver creato un’opera in cui il processo creativo ha coinvolto in ogni sua fase.
Non da meno la riscoperta della storia della fotografia e l’apprendimento dei processi utilizzati dai maestri agli albori, può portare a una comprensione più approfondita delle radici e dell’evoluzione della fotografia e questo diviene un valore aggiunto quando ci si accinge a dare vita ad un prodotto artistico.
Ma oltre alla possibilità di ottenere un risultato unico e prezioso, è importante continuare l’uso di queste tecniche per mantenere la memoria di ciò che è stato il processo creativo che ha portato questa meraviglioso mestiere dai suoi inizi sino ad oggi; diviene il leitmotiv da tenere ben presente per i nostri successori per motivarli a continuare a impegnarsi ad applicare questa forma d’arte preziosa.
L’incontro con queste tecniche risale a qualche anno fa, durante un weekend a Bormio, dove ho visitato una mostra fotografica del gruppo Namias. Una vera e propria folgorazione, che mi ha portato allo studio di questi variegati metodi di stampa partendo dalla Cianotipia, forse la più semplice.

Quello della Cianotipia, è un processo fotografico che si è sviluppato nel XIX secolo ed è ancora utilizzato oggi sia a fini artistici che scientifici e che utilizza una soluzione chimica di sali di ferro per creare immagini dalla tonalitàblu ciano.
Per creare una cianotipia, si crea una diluizione, mescolando ferro ammonio citrato e ferrocianuro di potassio. Questa soluzione, sensibile ai raggi ultravioletti, viene poi applicata uniformemente su un supporto cartaceo, ed esposta alla luce a contatto di un negativo o di un qualsiasi oggetto che possa generare un’immagine.
Le aree coperte dal negativo o dall’oggetto rimangono bianche, mentre le aree esposte alla luce si ossidano diventando blu ciano. Una volta che l’immagine desiderata è stata ottenuta, la stampa viene sciacquata in acqua per rendere permanente l’immagine.
Il risultato finale è un’immagine con contorni nitidi e un caratteristico colore blu ciano.

Proseguendo la ricerca, mi sono imbattuto nell’annerimento diretto, un foglio di carta da stampa, politenta o baritata, esposto direttamente alla luce ultravioletta a contatto con un negativo per diverse ore.
Questo lungo tempo fa si che la carta si “auto-sviluppi” senza ausilio di chimica. Dopo l’esposizione, la carta viene fissata e infine virata con diversi passaggi e soluzioni per l’immagine finale.

Negli ultimi mesi mi sono dedicato al collodio umido, soluzione chimica che consiste principalmente in nitrocellulosa (collodio) disciolta in etanolo e etere con l’aggiunta di sali per la sensibilizzazione alla luce.
Il composto viene versato su una lastra di vetro o metallo e poi immerso nel nitrato d’argento prima dell’esposizione. Questo processo fornisce immagini ad alta risoluzione, ma richiede una manipolazione delicata e un tempo di esposizione relativamente lungo.
Ancora oggi si continua ad utilizzare questo tipo di preparazione, per il suo carattere unico e la qualità estetica delle immagini che produce.

Al momento, il mio interesse è rivolto alla gomma bicromata, sviluppata anch’essa nel XIX secolo e ancora oggi utilizzata per scopi artistici. È un processo che coinvolge l’uso di pigmenti fotosensibili e bicromati, che reagiscono alla luce per realizzare immagini fotografiche.
La creazione del composto sensibile alla luce avviene miscelando un pigmento con la gomma arabica e successivamente, al momento della stesura sul supporto, con del bicromato di potassio o di ammonio.
Successivamente un negativo, o un’immagine opaca, è posizionato sopra la superficie trattata e tutto viene esposto alla luce ultravioletta. Le aree non coperte dal negativo si induriscono, mentre le aree coperte rimangono più morbide. Dopo l’esposizione, la stampa viene lavata per rimuovere il bicromato non reagito e quindi il composto viene immerso in acqua. Durante questo processo, le parti non esposte alla luce si dissolvono, lasciando un’immagine permanente formata dalle particelle di pigmento che si sono depositate sulla superficie del supporto
Mauro Conti
per
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