Pino Pascali, un grande artista che sapeva anche farsi fotografare

La Fondazione Prada di Milano ospita, fino al 23 settembre 2024, un’enorme e compiuta retrospettiva dedicata a Pino Pascali, famoso artista italiano dell’Arte Povera, a cura di Mark Godfrey. La mostra, divisa in quattro sezioni, esplora l’innovativa portata del lavoro di Pascali, in particolare la sua scultura, che negli ultimi cinquant’anni ha avuto un impatto significativo su diverse generazioni di artisti e critici.

Discorsi Fotografici andrà soprattutto ad analizzare la sezione fotografica della monumentale mostra.

Biografia di Pascali

Pino Pascali nacque a Bari il 19 ottobre 1935 e morì tragicamente a Roma l’11 settembre 1968. È stato un artista poliedrico, noto per il suo lavoro come pittore, scultore, scenografo, performer e fotografo, e viene considerato uno dei protagonisti più innovativi dell’arte contemporanea italiana.

Formazione e Carriera

Dopo aver trascorso parte della sua infanzia a Tirana, Pascali tornò in Italia, dove completò gli studi al liceo artistico di Napoli. Nel 1956 si trasferì a Roma per iscriversi all’Accademia di Belle Arti, dove seguì il corso di scenografia di Toti Scialoja. Durante questo periodo, Pascali iniziò a collaborare con artisti locali e a lavorare come aiuto scenografo per la RAI, contribuendo a produzioni televisive e pubblicitarie.

Negli anni ’60, Pascali guadagnò notorietà partecipando a mostre collettive, e nel 1965 tenne la sua prima mostra personale alla Galleria La Tartaruga di Roma. La sua arte si caratterizzava per l’uso di materiali poveri e per la trasformazione di elementi naturali in opere scultoree, come evidenziato nelle sue celebri installazioni “32 mq di mare circa”:

e “1 mc di terra”:

Riconoscimenti e Influenza

Nel 1968, Pascali partecipò alla Biennale di Venezia, dove ricevette un premio postumo per la scultura. La sua carriera, sebbene breve, fu segnata da un crescente riconoscimento internazionale, con esposizioni in importanti gallerie e musei in Italia e all’estero, tra cui il Museo di Arte Moderna di New York e il Centro Pompidou di Parigi.

Morte ed Eredità

Pino Pascali morì prematuramente a causa di un incidente in motocicletta, una delle sue grandi passioni, proprio durante la Biennale di Venezia. La sua morte avvenne all’apice della sua carriera, lasciando un vuoto nel panorama artistico italiano.

Cos’è L’ARTE POVERA?

È un movimento artistico italiano nato nella seconda metà degli anni ’60, caratterizzato da un approccio innovativo e sovversivo rispetto all’arte tradizionale. Il termine “Arte Povera” fu coniato dal critico d’arte Germano Celant nel 1967, e si riferisce sia ai materiali umili utilizzati dagli artisti, come terra, legno, ferro, stracci e scarti industriali, sia all’intento di ridurre l’opera d’arte all’essenziale e di porsi in contrapposizione all’arte tradizionale.

Caratteristiche dell’Arte Povera

  • Materiali “poveri”: Gli artisti dell’Arte Povera utilizzavano materiali di scarso valore economico e culturale, come cartapesta, ferro di recupero, stracci e oggetti riciclati.
  • Riduzione all’essenziale: L’obiettivo era quello di “impoverire” l’opera, riducendola ai suoi archetipi e alle sue strutture originarie, per adattarla al linguaggio della società contemporanea.
  • Installazioni e azioni performative: Le opere spesso si realizzavano come installazioni che interagivano con l’ambiente e includevano azioni performative.
  • Contestualizzazione: Gli artisti dell’Arte Povera si concentravano sulla contingenza, sull’evento e sul presente, cercando di superare l’idea tradizionale dell’opera d’arte come entità sovratemporale e trascendente.

5 Artisti di Riferimento

oltre a Pino Pascali

  1. Mario Merz: Uno degli artisti più influenti del movimento, Merz è famoso per le sue installazioni che utilizzavano materiali come la terra, il legno e l’acciaio. Le sue opere spesso includevano numeri e date, riflettendo la sua ossessione per il tempo e la sua percezione.
  2. Giuseppe Penone: Conosciuto per le sue opere che esplorano la relazione tra natura e arte, Penone ha insistito molto sul concetto di sviluppo dell’opera in uno spazio naturale e nel paesaggio.
  3. Jannis Kounellis: Greco di nascita ma italiano d’adozione, Kounellis è noto per le sue installazioni che combinano materiali come carbone, sassi e animali vivi. Le sue opere spesso sfidano le convenzioni dell’arte tradizionale.
  4. Michelangelo Pistoletto: Fondatore del movimento, Pistoletto è famoso per le sue “Mirror Paintings” e per le sue installazioni che interagiscono con lo spazio e gli spettatori. Le sue opere riflettono la sua attenzione verso la società e la politica.

ad esempio

La “Venere degli stracci” di Michelangelo Pistoletto è una delle sue opere più celebri e rappresentative. L’opera mette in dialogo una statua classica di Venere con un cumulo di stracci, creando un contrasto tra l’ideale di bellezza eterna e la realtà contemporanea di materiale di scarto.

La versione a grandezza naturale di questa opera mantiene una statua classica di Venere, spesso rappresentata come una copia in gesso ispirata a statue greche o romane, posta di fronte a un mucchio di stracci colorati e usati. La Venere è solitamente rappresentata in una postura classica, con le braccia mozzate, evocando le antiche statue greche. Gli stracci, invece, sono ammucchiati in modo disordinato ai piedi della statua, creando un contrasto visivo forte e suggestivo.

Il significato di quest’opera può essere interpretato in vari modi. Alcuni vedono una critica alla società dei consumi e al degrado ambientale, altri un dialogo tra passato e presente, tra eternità e transitorietà, tra alto e basso. L’opera invita a riflettere sul valore della bellezza e sull’impatto dei rifiuti nella nostra vita quotidiana.

Ci sarebbe qui da discutere del famoso incendio alla Venere degli Stracci di Napoli ma il discorso diverrebbe troppo lungo. Interessante anche quanto quella venere sia di dimensioni maggiori, forse poiché data la collocazione in una grande piazza, servivano delle dimensioni “diverse” perché l’opera avesse un suo effetto scenico.

venere

La Mostra

L’esposizione si sviluppa in tre edifici della sede milanese e si articola in quattro sezioni principali, esplorando la breve ma significativa carriera di Pascali.

La prima sezione, ospitata nel Podium, ricrea gli ambienti delle mostre personali di Pascali, permettendo ai visitatori di sperimentare le sue innovative modalità allestitive. Vengono ricostruite le esposizioni:

alla Galleria La Tartaruga (Roma, 1965)


alla Galleria Sperone (Torino, 1966)


alla Galleria L’Attico (Roma, 1966 e 1968)


alla Biennale d’Arte di Venezia (1968)




La seconda sezione si concentra sui materiali utilizzati da Pascali, sia naturali che industriali. Vengono esplorate diverse aree dedicate a specifici materiali come tela, tintura, terra, eternit, pelliccia sintetica, lana d’acciaio, gommapiuma, parti di automobili, fieno e scovoli. Opere chiave come

“Barca che affonda” (1966)

“Campi arati e canali di irrigazione” (1967)

sono affiancate da video esplicativi sulla complessa conservazione di questi materiali.

È interessante notare l’uso innovativo che Pascali fa della finta pelliccia e della moquette, materiali che richiamano la ricerca artistica di Piero Manzoni. Pascali utilizza questi materiali in modo originale, creando opere come “Contropelo” (1968) che gioca con la texture e la percezione tattile.


La terza sezione, nella galleria Nord, si concentra sul contributo di Pascali a tre mostre collettive fondamentali, mettendo in dialogo le sue opere con quelle di altri artisti contemporanei. Qui troviamo alcune delle sue opere più note come “Ricostruzione del dinosauro” (1966) e “9 mq di pozzanghere” (1967).

È importante sottolineare che mentre Pascali partecipava alla Biennale d’Arte di Venezia nel 1968, nello stesso anno alla Biennale Cinema si verificò una significativa contestazione da parte dei registi, evidenziando il clima di fermento culturale e politico dell’epoca.


Un aspetto fondamentale della mostra è l’opportunità di osservare le opere da vicino. Ad esempio, in “Teatrino” del 1964, la bottiglia presenta delle piccole e deliziose scarpine da bambino, un dettaglio che nelle fotografie non è visibile e che arricchisce l’opera di un elemento giocoso e sorprendente. Andatelo a cercare.

La mostra affronta anche il tema del restauro e della conservazione dell’arte contemporanea. Le opere di Pascali, realizzate con materiali non convenzionali e spesso deperibili, pongono sfide uniche per i conservatori. Ad esempio, “Meridiana” (1968) è stata recentemente restaurata presso il Centro Conservazione e Restauro “La Venaria Reale”, dimostrando l’attenzione necessaria per preservare queste opere innovative.

La sezione fotografica: Pascali performatore e proto marketer

La quarta sezione della mostra, che è quella che ci interessa particolarmente e che descriveremo meglio, è allestita nella galleria Sud, ed esamina il modo in cui Pascali interagiva con le sue sculture in leggendarie fotografie scattate da Claudio Abate, Ugo Mulas e Andrea Taverna, e nel video 16mm SKMP2 (1968) di Luca Maria Patella.

L’Analisi

Pino Pascali si distingueva nettamente dagli altri artisti italiani degli anni Sessanta per il suo rapporto innovativo e strategico con la fotografia e i fotografi. La sua visione andava oltre la semplice documentazione delle opere, trasformando l’atto fotografico in un’estensione creativa del suo lavoro artistico.

Pascali si assicurava che ogni opera fosse meticolosamente documentata: da quelle in studio alle mostre complete. Questo approccio sistematico alla documentazione visiva era all’avanguardia per l’epoca e dimostrava una consapevolezza acuta dell’importanza dell’immagine nella comunicazione artistica.

Ma ciò che rendeva Pascali veramente unico era la sua interazione diretta con le proprie sculture davanti all’obiettivo. Queste non erano performance nel senso tradizionale, non c’era un pubblico dal vivo, né l’intento di fornire istruzioni su come interagire con le opere. Piuttosto Pascali creava momenti visivi potenti e suggestivi, una sorta di coreografia scultorea in cui l’artista e l’opera diventavano un’unica entità espressiva.

Queste fotografie servivano un duplice scopo. Da un lato, fornivano materiale visivo accattivante e intrigante per pubblicazioni, cataloghi e riviste d’arte. I redattori iconografici potevano attingere a queste immagini per illustrare articoli e recensioni sul lavoro di Pascali, garantendo che la sua arte fosse presentata in modo dinamico e coinvolgente; e che fosse anche subito vista, sognata e memorizzata da un potenziale cliente, gallerista e committente.

Dall’altro lato, queste immagini offrivano ai visitatori delle mostre e agli appassionati d’arte un modo nuovo e stimolante di relazionarsi con le opere di Pascali. Attraverso queste fotografie, il pubblico poteva vedere l’arte di Pascali come qualcosa di vivo, interattivo e giocoso. L’artista invitava implicitamente gli spettatori a immaginare se stessi al posto suo, interagendo con le sculture in modi fantasiosi e gioiosi.

Questo approccio rivelava non solo la genialità artistica di Pascali, ma anche la sua acuta comprensione del potere dei media e dell’immagine nella promozione dell’arte. In un’epoca in cui il marketing artistico era ancora in fase embrionale, Pascali dimostrava una sofisticata strategia di self-promotion. Tuttavia, ciò che distingueva il suo approccio era l’eleganza, la classe e l’apparente spensieratezza con cui lo faceva. Non si trattava di mera auto-promozione, ma di un’estensione organica della sua pratica artistica.

Pascali riusciva a fondere arte, gioco e comunicazione in un unico gesto creativo. Le sue “performance fotografiche” non erano solo strumenti di marketing, ma vere e proprie opere d’arte in sé, che ampliavano e arricchivano il significato delle sue sculture. Questo approccio olistico all’arte e alla sua presentazione anticipava molte delle pratiche contemporanee di documentazione e promozione artistica, posizionando Pascali come un pioniere non solo nell’arte scultorea, ma anche nella sua presentazione e diffusione.

Le FOTO

Le opere sono esposte accanto a quattro fotografie ingrandite in scala manifesto.

32 mq di mare circa (1967)

foto di Claudio Abate:


Vedova blu (1968)

foto di Claudio Abate:


Cinque bachi da setola e un bozzolo (1968)

foto di Andrea Taverna:


Cavalletto (1968)

foto di Ugo Mulas:


All’entrata della Galleria Sud c’è una stanza con molte fotografie:

Purtroppo non abbiamo da mostrarvi una fotografia molto scherzosa e divertente, in cui Pascali si fa fotografare con una specie di trivella a simulare un organo sessuale maschile di natura meccanica. Si era costruito un “trivellone”, che a noi di Discorsi Fotografici ha ricordato Tetsuo (鉄男) (1989) di Shin’ya Tsukamoto:

Anche il protagonista di questo straordinario film, che vi consigliamo, ha una megasupertrivella. Però Pascali ce la presenta in maniera molto più giocosa e gioiosa. Andate a vederla!

Conclusioni

Pascali è un genio che ci ha lasciato troppo presto. Vi consigliamo di andare a vedere questa stupenda mostra; da Prada fino al 23 settembre. Mancano ancora due settimane! Trovate quelle due orette per scoprire questo grande artista e arricchire la vostra cultura e la vostra anima con l’arte povera.