170 anni di storia della famiglia Gasparoli nelle foto di Marco Introini
“Prendetevi cura solerte dei vostri monumenti e non avrete alcun bisogno di restaurarli.[…] Vigilate su un vecchio edificio con attenzione premurosa; proteggetelo meglio che potete e ad ogni costo da ogni accenno di deterioramento.[…] E tutto questo, fatelo amorevolmente, con reverenza e continuità, e più di una generazione potrà ancora nascere e morire all’ombra di quell’edificio” (J. Ruskin, Le Sette lampade dell’architettura).
“L’amore per il restauro è un tratto fondante della nostra famiglia. E’ un’attrazione potente, profonda, inarrestabile, come la dedizione che ha fatto grande la nostra azienda, dal 1854 ad oggi” (Gasparoli).
Queste due frasi, apparentemente in contraddizione tra loro, ben rappresentano l’importanza del prendersi “cura” del patrimonio costruito storico, quale responsabilità e dovere di “conservare e tramandare la bellezza” alle future generazioni, tema questo della mostra Restauri a Milano: dalla basilica di S. Ambrogio alla torre Velasca. 170 anni di storia della famiglia Gasparoli, recentemente inaugurata alla Galleria San Fedele di Milano e qui esposta fino al 26 novembre 2024.
In essa sono presentate le immagini di alcuni edifici milanesi, immortalati dal fotografo Marco Introini dopo i restauri effettuati dall’azienda Gasparoli s.r.l., che, dal 1854, si occupa di conservazione e manutenzione dell’edilizia storica e monumentale, vantando interventi prestigiosi come la Galleria Vittorio Emanuele II, il Duomo, il Cenacolo Vinciano, le basiliche di S. Ambrogio e S. Lorenzo a Milano, la Villa Reale di Monza e la Mole Antonelliana o le Gallerie d’Italia di Torino.
L’iniziativa, patrocinata dal Comune di Milano, dal Collegio degli Ingegneri e degli Architetti di Milano e dall’Ordine degli Architetti Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Varese, chiude le celebrazioni per i 170 anni dalla fondazione di questa storica azienda di Gallarate (VA), comprendenti una lezione dell’architetto Michele De Lucchi sull’architettura contemporanea, tra conservazione e trasformazione, e la lectio magistralis della prof.ssa Ornella Selvafolta – dal titolo “Elogio della mano” – sul ruolo degli artisti decoratori, pittori e architetti che hanno operato a Milano e in Lombardia tra ‘800 e ‘900, i quali, con il proprio sapere, l’esperienza e la manualità, hanno contribuito a dar corpo alle idee e all’espressività dei progettisti del tempo.
“Il marchio Gasparoli nasce dall’unione tra la firma di un nonno e quella dell’ultima generazione della famiglia. E’ l’omaggio ad un passato che non ha paura di rinnovarsi nel presente; è il segno visibile di una passione che attraversa l’intera storia familiare; è la testimonianza di un’artigianalità industriosa che si rigenera fiera e competente” (Gasparoli).
Una tradizione – quella della famiglia Gasparoli – che si tramanda di padre in figlio, di nonno in nipote: fondata infatti nel 1854 a Cassano Magnago (VA) da Giovanni Maria, decoratore di professione, alla fine dell’Ottocento fu portata avanti dai figli Carlo e Noè, entrambi decoratori, con l’apertura di una seconda sede a Gallarate; nel Novecento i nipoti Ercole e Ulisse unirono due attività artigianali sotto la ragione sociale E. Gasparoli & C., aprendo anche un negozio per la vendita di colori, vernici e articoli per le belle arti. E’ però solo nel secondo Dopoguerra che, nonostante l’epoca non fosse del tutto propizia al restauro, la Società acquisì una dimensione industriale ad opera di Innocente, figlio di Ercole, seguito, a partire dagli anni ’80, in un periodo in cui stava tornando l’interesse per l’edilizia storica, dai figli Paolo, Guido e Marco, che, con competenze diverse, gestiscono tuttora l’azienda di famiglia insieme alla sesta generazione composta da architetti, specialisti in restauro dei monumenti e storici dell’arte.
“Cultura umanistica, conoscenza scientifica e innovazione tecnologica sono gli elementi con cui […] firmiamo ogni cantiere, di restauro o manutenzione preventiva” (Gasparoli).
Oggi la Gasparoli srl è un’azienda leader nell’ambito della conservazione dei beni culturali, soprattutto per quanto riguarda il restauro delle superfici architettoniche, decorate e non, i cui interventi partono sempre da un attento studio degli edifici, della loro storia e dei materiali con cui sono costruiti, nonché dall’analisi dei processi di alterazione e di degrado, al fine di individuare i più corretti metodi di intervento, talvolta in affiancamento a studi professionali per attività di consulenza su architetture soggette a tutela.
L’azienda, pur se proiettata al futuro, in continuo aggiornamento attraverso la ricerca e la sperimentazione di nuove tecnologie, guarda con forza al passato e alle tecniche della tradizione, grazie a una consolidata esperienza nel campo, unita a un approccio multidisciplinare che coinvolge differenti professionalità garantendo le competenze culturali e tecniche necessarie all’intervento sul costruito storico: “saperi e attività specialistiche che trovano nell’operatività del cantiere il modo di dialogare, configurando la conservazione come ambito di notevole contenuto culturale e sociale”, in modo tale da mantenere, in ogni lavoro eseguito, “i dati di identità e di autenticità del monumento”, per tramandarne ai posteri la materia e la memoria.
“Ci sporchiamo le mani per proteggere e ridonare alla società episodi di pura bellezza […] per nutrire gli occhi e l’anima degli uomini di oggi e di domani” (Gasparoli).
Ed è proprio per raccontare ed esaltare questa bellezza che è stata scelta la fotografia di Marco Introini (Milano, 1968), architetto di formazione, docente di Fotografia dell’Architettura e Tecnica della Rappresentazione di Architettura al Politecnico di Milano e di Fotografia dell’architettura presso la scuola di fotografia Bauer, autore di spicco della fotografia di paesaggio e architettura, con cui ha documentato, per conto di Enti e Istituzioni pubbliche e private, in Italia e all’estero, edifici antichi, moderni e contemporanei, infrastrutture e fabbricati industriali, paesaggi naturali e artificiali, con particolare attenzione al patrimonio architettonico storico delle città, ottenendo riconoscimenti e premi e vantando numerose mostre fotografiche e pubblicazioni, con immagini conservate alla Fondazione MAXXI, CSAC, Museo MA*GA, Fondazione AEM.
Per Introini la fotografia è uno strumento di narrazione, mezzo privilegiato per documentare – come forma artistica soggetta ad autonomia interpretativa – l’architettura e il paesaggio, ma anche per riflettere sulla città e sui suoi processi evolutivi, o semplicemente per conoscerne la storia, a partire dai tracciati urbani. Nelle sue immagini, prive della presenza dell’uomo, le architetture, messe ‘a nudo’ e avvolte da una luce nitida e omogenea, talvolta fuse con vedute di spazi urbani, appaiono sospese, in attesa, mostrando la loro vera identità e matericità.
E questa matericità è proprio quella che emerge in seguito a un restauro, il cui gesto conservativo e artistico insieme può essere evidenziato attraverso “opere d’arte capaci di raccontare la storia – e la cura del patrimonio – con immagini di grande intensità artistica” (P. Gasparoli).
Da questo desiderio nasce la collaborazione tra la famiglia Gasparoli e Introini, entrambi originari di Gallarate, con un sodalizio che dura da 10 anni, durante i quali il fotografo è stato chiamato a documentare alcuni degli interventi realizzati dall’azienda in quasi trent’anni di attività di cantiere sui maggiori edifici antichi e moderni italiani, con l’obiettivo di restituire una “lettura emozionale” degli edifici appena restaurati, rivisti poeticamente attraverso fotografie d’autore che esprimono tutto il fascino delle architetture che rappresentano.
Queste ultime nel 2016 sono confluite nella mostra “Ritratti di Monumenti” al MA*GA Museo d’Arte Gallarate, definite da Pierluigi Panza – nella prefazione al catalogo della mostra – ’Urla dal silenzio’.
Su queste basi la mostra milanese espone 30 scatti – stampati in fine-art – di Marco Introini, disposti lungo le pareti delle sale a più livelli della Galleria S. Fedele in maniera cronologica, conducendo il visitatore – attraverso un viaggio lungo secoli di storia – tra i più importanti edifici milanesi, pubblici e privati, di culto o monumenti, restaurati dall’azienda.
Il percorso parte idealmente dalla basilica di S. Ambrogio,“caposaldo dell’immagine e della tradizione milanese”, e dalla cosiddetta “Cà Granda” (Ospedale Maggiore, che oggi ospita l’Università Statale), per raggiungere la cinquecentesca chiesa di S. Fedele o il Palazzo dei Giureconsulti e proseguire, prima nel Settecento con Palazzo Litta, poi nell’Ottocento con la Galleria Vittorio Emanuele II di Giuseppe Mengoni, la casa-museo di Palazzo Bagatti Valsecchi – costruita nelle forme del Quattrocento Lombardo – e Palazzo Turati.
Si giunge quindi al Novecento con le forme moderniste della facciata dell’Edificio Reale Mutua in p.zza Liberty – derivante dall’ex Corso Hotel demolito dopo la guerra – o del Teatro Filodrammatici – dopo la trasformazione della primitiva fabbrica di Luigi Canonica, ulteriormente modificata negli anni ’60-‘70 da Luigi Caccia Dominioni- ; con i dettagli in cemento decorativo di Palazzo Meroni in piazza Missori, del Palazzo del Credito Italiano e di Palazzo Broggi (Palazzo delle Poste o della Borsa vecchia) – uno degli edifici più iconici di Milano in piazza Cordusio -; o ancora con la monumentalità degli apparati decorativi ispirati al tema del viaggio della Stazione Centrale di Ulisse Stacchini.
Non si possono poi dimenticare simboli di Milano come il Duomo: “organismo complesso e spettacolare, […] gigantesca e ambigua macchina, che emoziona e attrae l’immaginazione popolare”; l’Arco della Pace o l’arco di Porta Ticinese, parte della cerchia muraria difensiva più esterna della città, le cui forme attuali derivano da un intervento ottocentesco di Camillo Boito (uno dei padri del restauro). A questi si contrappongono capolavori dell’architettura moderna come la Cà Brutta di Giovanni Muzio (1922), il Garage Italia (ex Stazione “Agip Supercortemaggiore” – 1951), e infine la Torre Velasca (1955-57): il “risultato più rappresentativo delle elaborazioni progettuali dello Studio BBPR”.
Dopo aver apprezzato – in occasione dell’inaugurazione della mostra – questa carrellata storico-architettonica milanese, che cattura dettagli di una città che ama “svelarsi” poco a poco, approfittiamo della voce di due dei suoi protagonisti: Paolo Gasparoli e Marco Introini, per comprenderne meglio il senso e scoprire come e perché essa è stata realizzata.
P.G. Con questa mostra abbiamo voluto concludere le celebrazioni volte a ricordare la storia centenaria della nostra azienda che si tramanda di generazione in generazione, a partire dal primo fondatore e poi dal
mio bisnonno, che, autore di un intervento a Cassano Magnago, ci ha lasciato un importante documento: il cartone preparatorio dell’impianto decorativo della chiesa di S. Maria del Cerro con le decorazioni da lui eseguite in collaborazione con il pittore Luigi Morgari che si è occupato dei figurativi. Da allora la nostra realtà è cresciuta con impegno e dedizione ed è stata consegnata dal papà a noi fratelli, che la gestiamo dagli anni Ottanta. Oggi, con i nostri figli oramai anch’essi in Azienda, siamo giunti alla sesta generazione e stiamo cercando di governare il difficile processo del cambio generazionale. Ci auguriamo che i nuovi non siano solo lo specchio del passato e che portino avanti questa attività con la nostra stessa passione sapendo interpretare e governare il cambiamento.
Da cosa deriva la scelta di raccontare il vostro lavoro di restauro – che è un processo – attraverso fotografie che ne rappresentano il punto di arrivo?
P.G. Le fotografie di Introini in genere sono fatte sia “prima” che “dopo” l’intervento, e, in alcuni casi (come la Galleria Vittorio Emanuele, il Duomo, il Palazzo Giureconsulti o il teatro Filodrammatici), anche “durante”, ma qui abbiamo voluto esporre solo quelle del “dopo”, quando cioè l’edificio è in uno “stato di grazia” prima di riprendere la sua vita e il corso del naturale invecchiamento. Questa scelta deriva dalla volontà di immortalare le emozioni che qualunque intervento di restauro dà, prima che queste vengano dimenticate. Sarebbe invece doverosa la costante manutenzione degli edifici per allontanare la necessità di un nuovo restauro. Ovviamente per documentare il “processo” di restauro noi scattiamo anche altri tipi di fotografie, più “tecniche”, di cantiere, e, attraverso un database, le conserviamo e archiviamo insieme ad informazioni specifiche, quale documentazione di quanto è stato fatto e scoperto. Tutto questo è volto a sedimentare la conoscenza relativa all’edificio: da un lato tramite la documentazione che produciamo, dall’altro con immagini di tipo “emozionale” che lo raccontano con una particolare sensibilità, che è quella del fotografo di architettura che – con sua personale interpretazione artistica e visiva – è in grado di valorizzarlo mettendone in evidenza l’aspetto emotivo.
Quali sono le emozioni più grandi che il vostro lavoro vi ha portato negli anni?
P.G. La nostra esperienza nell’attività di cantiere è ricca di sorprese ma soprattutto di emozioni, che si hanno ogni volta che ci si pone di fronte ad un edificio e si “mettono le mani” su di esso, respirandone la storia. Di recente, in occasione della redazione di un progetto di restauro su un edificio privato in piazza S. Eustorgio, nato come ospedale nel 1145 (Ospedale di Santa Fede) e ristrutturato verso la fine del Quattrocento, con uno splendido chiostro con colonne e capitelli identici a quelli del Chiostro di Bramante in S. Ambrogio – seppur di ridotta dimensione -, abbiamo trovato una botola, e, infilandoci in uno stretto cunicolo sotterraneo con volta in mattoni, siamo arrivati a una vasca in pietra scavata, sconosciuta ai più, che la tradizione vuole fosse il primo fonte battesimale di Milano – “Fonte di San Barnaba” – dove furono battezzati i primi cristiani milanesi. Qui Federico Borromeo aveva fatto costruire, alla prima metà del Seicento, un piccolo edificio ecclesiastico su progetto di Richini, visitato come luogo di culto e preghiera, poi demolito con l’arrivo dei francesi, tanto da perderne traccia e ricordo nei vari passaggi di proprietà. L’aver potuto vedere questo luogo perduto è stata un’emozione indicibile! Profondamente emozionante è stato anche aver contribuito all’indagine e all’esumazione dei resti dei martiri delle Cinque Giornate di Milano sotto la Cripta dell’omonimo monumento.
Voi avete spaziato dall’antico al restauro del moderno: c’è differenza di approccio metodologico nell’affrontare un edificio storico o uno moderno?
P.G. L’approccio metodologico sul moderno non cambia concettualmente rispetto a quello di un intervento sull’antico; quello che cambia sono le tecniche e i materiali su cui si lavora, che per un edificio storico sono pochi e tra loro compatibili (pietre, mattoni, malte, intonaci ecc.), mentre nel moderno i comportamenti “a fatica” tra materiali molto differenti (vetro, ceramica, plastiche, cemento armato, ecc.) rendono necessario gestire i momenti di giunzione. Per quanto riguarda invece la reperibilità o riproducibilità dei materiali, nel caso di interventi su edifici fino agli anni Venti o Trenta del Novecento non abbiamo sinora avuto grossi problemi, in quanto i materiali, anche quando derivanti da sperimentazioni autarchiche, sono abbastanza facilmente riproducibili, essendo a base di elementi presenti in natura. A partire dagli anni ’60-’70, invece, tutto si complica, anche se sono rari i casi di edifici del “moderno” che siano già stati assoggettati a tutela: tra questi proprio la Torre Velasca dei BBPR, su cui siamo intervenuti.
Per Marco, cosa ha significato per te questa collaborazione?
M.I. Lavorare con i Gasparoli mi ha dato l’occasione di entrare e poter scattare fotografie in edifici e luoghi particolari, spesso non visitabili né accessibili, frequentando cantieri interessanti e tecnicamente avanzati come quello della Galleria Vittorio Emanuele, dove si è utilizzato un ponteggio mobile come fosse un diapason. La fortuna è che hanno accettato la mia scelta un po’ radicale del bianco e nero, nonostante le mie immagini siano state scelte per testimoniare un restauro, che spesso porta in luce colori nascosti o dimenticati. E’ per questo che, nonostante il bianco e nero sia il mio linguaggio distintivo e la mia cifra stilistica, in alcune foto, soprattutto di interni, ho voluto utilizzare il colore, per mostrare la capacità dell’azienda nel restauro cromatico.
Come sono state scelte le immagini in mostra?
M.I. In mostra c’è la maggior parte dei lavori eseguiti dalla Gasparoli a Milano – anche se non tutti -, esposti in maniera cronologica in base alla datazione dell’edificio. A posteriori mi ha fatto una certa impressione vedere le immagini (e di conseguenza le architetture e gli scorci che rappresentano) in fila, una dopo l’altra, anche se le conosco benissimo, perché lavorando sulla sequenza cambia tutto. Questa carrellata permette di comprendere la forza della città, che possiede un vastissimo spettro cronologico, dal Medioevo di S. Ambrogio fino alla torre Velasca e al moderno, che nel restauro significa occuparsi dei nuovi materiali. La cosa sconvolgente è che, mentre scatti, ruotando la macchina fotografica, appare un nuovo scorcio sempre più sorprendente: questa è la bellezza e forse unicità di Milano, caratterizzata da un tessuto così denso in cui si può dialogare con il moderno e nello stesso tempo con il Rinascimento: una condizione veramente propizia. Nelle mie immagini si può quindi ritrovare questa condizione, ove si alternano puri “ritratti” di edifici a fotografie che lavorano su “dialoghi” tra le varie architetture.
Come scatti?
M.I. Io fotografo con banco ottico, in digitale, con cavalletto e grandangolo, scattando sempre a colori e trasformando poi le immagini in bianco e nero in post produzione. A me chiedono sempre perché non rappresento le persone: perché io amo fotografare alla mattina presto, quando il cielo è “bianco”, senza ombre, senza la drammaticità dei chiaroscuri, cosa che permette di leggere perfettamente l’architettura, che così diventa il soggetto e l’attore principale della foto. E’ da tempo che fotografo le città alla mattina molto presto, quando il sole quasi non è ancora spuntato e la luce è diffusa, diafana: in questo preciso momento del giorno, quasi surrealista, la città si mostra con il piano stradale vuoto senza auto, persone, solo segni della loro presenza; ci mostra senza distrazioni il suo spazio. Consiglio a tutti di attraversare Milano all’alba, perché si sente la carica della scena quotidiana che inizia a partire. Per me è come stupirsi vedendo una scenografia teatrale (altra mia passione): quando cioè all’opera, dopo l’ouverture, c’è una frazione di secondo prima che gli attori e i cantanti inizino a cantare e recitare in cui il pubblico viene inondato dalla scenografia.
Complimentandomi ancora per il vostro lavoro e ringraziandovi per quello che fate per l’architettura storica, in maniera diversa ma complementare, vorrei chiudere con le parole dell’architetto Claudio Sangiorgi del Collegio Architetti e ingegneri di Milano:
C.S. “Le fotografie di Marco hanno la capacità di restituire la trama e i principi sottesi all’architettura e le reciproche relazioni tra le parti. In esse vedo e riconosco i principi del disegno. Io appartengo all’ultima generazione che ha lavorato sui tecnigrafi e ha studiato applicazioni di geometria descrittiva: ero il prospettivista dello studio e ogni volta preparavo su un menabò il punto di vista opportuno per rappresentare una determinata architettura nel suo inserimento nel paesaggio. Le fotografie di Marco hanno questa forza: consentono ai progettisti, ma anche un pubblico non necessariamente tecnico, di individuare la struttura sottesa a un determinato impaginato di facciata, di capire le relazioni tra le parti, restituendo quella matericità che si rappresentava attraverso il frottage o il puntinato, passando ore sui disegni. A parte questa carica emotiva di memoria, credo che queste fotografie appartengano di diritto alla disciplina architettonica della rappresentazione”.
Patrizia Dellavedova
Foto di copertina: Basilica di Sant’Ambrogio, Milano, 2014©Marco Introini. Ove non diversamente specificato le foto sono dell’autore.