Carlo Orsi: el fotograff de Milan

La mostra “Miracoli a Milano. Carlo Orsi fotografo” è un omaggio alla lunga e prolifica carriera di Carlo Orsi, un fotografo che ha dedicato la sua vita a documentare la città di Milano e il mondo che lo circonda attraverso il suo sguardo unico. Questo evento si tiene al Palazzo Morando | Costume Moda Immagine di Milano fino al 2 febbraio 2025, offrendo ai visitatori l’opportunità di esplorare l’eredità di un grande nome della fotografia italiana del Novecento.

Carlo Orsi, Autoritratto allo specchio, 2007, White Sands National Park (Stati Uniti) © Archivio Carlo Orsi
Carlo Orsi, Autoritratto allo specchio, 2007, White Sands National Park (Stati Uniti) © Archivio Carlo Orsi

Biografia all’ombra de la Madunina

Carlo Orsi, nato a Milano nel 1941, era noto per la sua capacità di catturare l’essenza stessa della realtà attraverso la fotografia, lavorando come cronista, autore di reportage e ritratti iconici. Dopo aver iniziato la sua carriera come cronista per il Corriere della Sera, ha lavorato al fianco del rinomato Ugo Mulas come assistente, perfezionando il suo talento e la sua visione artistica.
Orsi incarna perfettamente lo spirito milanese con il suo approccio diretto e senza fronzoli, con anche un filo di malinconia. Cresciuto in una Milano del dopoguerra che si stava faticosamente risollevando dalle macerie e pronta a cambiare in modo vertiginoso, sviluppò fin da giovane un occhio attento alle contraddizioni e alle sfumature della vita urbana. Le sue fotografie in bianco e nero catturavano l’essenza di Milano senza abbellimenti, mettendo in luce sia la bellezza, spesso nascosta, che le durezze della metropoli. Dai suoi scatti emergono le fatiche degli operai e dei lavoratori umili, come quelli immortalati nel servizio sulla bottega di riparazioni di giocattoli nel quartiere Ortica o l’operaio che mangia dalla schiscetta (portavivande in milanese).

Allo stesso tempo, non mancano tocchi di sottile ironia, come nel celebre scatto del vigile appoggiato teatralmente al corrimano della metropolitana di Duomo.

Carlo Orsi, Milano, 1965. Metropolitana in bianco e nero © Archivio Carlo Orsi

Questo sguardo disincantato e un po’ cinico è tipico del milanese, sempre pronto a non prendersi troppo sul serio e a esprimersi in modo ironico. Orsi coglieva le piccole contraddizioni e stranezze che rendevano Milano una città viva, autentica e difficile, al di là delle facciate opulente dei palazzi di rappresentanza e dei templi della finanza. Le sue foto raccontavano le periferie operaie, i cantieri della ricostruzione post-bellica e l’immigrazione dalle campagne del Sud Italia. Orsi non aveva timore di addentrarsi nei quartieri popolari per cogliere quegli scorci di vita reale troppo spesso trascurati. Il suo approccio spontaneo e rispettoso gli permetteva di instaurare un rapporto di fiducia con i suoi soggetti, regalandoci immagini uniche e autentiche.

Allo stesso tempo, il fotografo milanese non risparmiava la sua ironia nemmeno per i potenti e gli esponenti dell’alta società. I suoi ritratti di artisti, intellettuali e politici li mostravano spogliati dei loro ruoli ufficiali, colti in attimi di genuina umanità. Un esempio è lo scatto di Sandro Pertini, ritratto con un’espressione dura e burbera, molto lontana dall’immagine rassicurante e benevola che associamo al Presidente più amato dagli italiani.

https://archiviocarloorsi.com/3/il-presidente

Carlo Orsi è stato un testimone imprescindibile e critico delle trasformazioni di Milano nel secondo Novecento. Il suo sguardo tagliente, a tratti poetico e a tratti dissacrante, ci ha regalato un affresco unico e vitale di una città in perenne divenire, con i suoi chiaroscuri e le sue mille sfaccettature umane. Ma come si era formato questo sguardo così peculiare?

Nonostante i primi rifiuti ricevuti dalle scuole di fotografia, Orsi non si è mai arreso alla sua passione…

Far parte dell’Intellighenzia Milanese

Il Bar Jamaica rappresentava un luogo di incontro spontaneo dove artisti, intellettuali e creativi si riunivano in modo naturale. Qui Orsi si immergeva nelle conversazioni informali, confrontandosi con figure significative della cultura italiana e internazionale.

Tra i volti che animavano il locale, figuravano scrittori come Luciano Bianciardi, pronti a discutere la società contemporanea, e fotografi come Ugo Mulas. L’ambiente artistico vedeva presenze come Piero Manzoni e Lucio Fontana, che in quegli anni stavano ridefinendo i confini dell’arte. La poesia trovava voce con Salvatore Quasimodo e le visite di Allen Ginsberg, mentre il teatro e la musica erano rappresentati da figure come Dario Fo, Mariangela Melato e Giorgio Gaber. Artisti come Gianni Dova, Roberto Crippa, Cesare Peverelli e Bruno Cassinari completavano questo vivace contesto culturale.

Queste interazioni, unite all’esperienza come assistente di Mulas, ampliarono la prospettiva artistica di Orsi. L’ambiente del Jamaica non definì solo la sua visione, ma probabilmente influenzò anche la sua predilezione per attrezzature essenziali ma di alta qualità.

Carlo Orsi, Bandiera e cielo nuvoloso, 2005, San Francisco (Stati Uniti) © Archivio Carlo Orsi
Niger,1984. Chi perde la nave © Archivio Carlo Orsi

Tecnica Fotografica

La Leica divenne così il suo strumento d’elezione, una scelta che rifletteva perfettamente la sua filosofia fotografica: uno strumento discreto ma potente, capace di catturare l’attimo decisivo senza interferire con la naturalezza della scena. La macchina fotografica tedesca, con la sua proverbiale affidabilità e compattezza, gli permetteva di muoversi agilmente tra i tavoli del Jamaica come tra le vie di Milano, sempre pronto a cogliere quell’attimo di verità che aveva imparato a riconoscere nelle lunghe serate di discussione con artisti e intellettuali.

Obiettivi

  • Leica Summicron: Si ritiene che abbia utilizzato prevalentemente obiettivi Leica Summicron, noti per la loro nitidezza e contrasto, con un’apertura massima di f/2. Questi obiettivi erano ideali per catturare la luce naturale e creare una profondità di campo ridotta, caratteristica di molte delle sue immagini
  • Focali Fisse: Prediligeva obiettivi a focale fissa, come il 35mm e il 50mm, che gli consentivano di essere più reattivo e concentrarsi sulla composizione dell’immagine piuttosto che sullo zoom. L’uso di focali fisse contribuiva a una maggiore qualità ottica e a una visione più chiara della scena.
  • Lunghe Focali: Per ritratti o dettagli specifici, Orsi poteva utilizzare obiettivi a focale più lunga, come un 85mm o un 135mm, per creare un effetto di compressione dello spazio e isolare i soggetti.

Pellicole

Pellicole in Bianco e Nero: utilizzava principalmente pellicole in bianco e nero come la Ilford HP5 o la Kodak Tri-X, apprezzate per la loro grana fine e il contrasto elevato. Queste pellicole gli permettevano di ottenere una gamma tonale ricca, creando atmosfere suggestive nelle sue fotografie

Camera Oscura

Un aspetto cruciale della sua pratica era il lavoro in camera oscura, dove dedicava particolare attenzione alla stampa delle immagini. Era noto per esaltare i contrasti nelle sue stampe in bianco e nero, cercando di trasmettere un’atmosfera specifica che rispecchiasse la realtà della città. La cura nei dettagli dei toni di nero e grigio era fondamentale per lui, contribuendo a una qualità visiva distintiva delle sue opere.

Scelte Estetiche

Il bianco e nero per Orsi non era una scelta dettata solo dalle esigenze editoriali dell’epoca, ma una precisa visione artistica ereditata da Mulas e portata a nuove vette espressive. Il suo maestro gli aveva insegnato come il bianco e nero potesse trasformare la realtà in segno grafico puro, quasi in un’astrazione metafisica – lezione evidente nelle celebri fotografie che Mulas dedicò alle sculture di Pomodoro, dove le opere sembrano emergere dal nulla in un gioco di luci e ombre.

Orsi fece propria questa lezione traducendola nel contesto urbano milanese. Nelle sue immagini, la città si trasforma in una sinfonia di contrasti: le architetture emergono dalla nebbia come sculture, i volti dei passanti diventano maschere espressive (quanto di espressionismo tedesco in una Milano dominata dagli Asburgo per 150 anni?), gli oggetti quotidiani assumono una dimensione quasi metafisica. Il bianco e nero gli permetteva di distillare l’essenza della scena, eliminando ogni elemento di distrazione cromatica. Questa scelta tecnica ed estetica si rivelava particolarmente efficace nella sua Milano, città del grigio e della nebbia, dove i contrasti sociali e architettonici si esprimevano naturalmente in chiaroscuro. Che si trattasse di fotografare un operaio nella sua tuta da lavoro o un evento mondano in Galleria, il bianco e nero di Orsi aveva la capacità di rivelare le tensioni nascoste, le contraddizioni, ma anche la poesia della vita urbana. La sua capacità di modulare i toni, affinata in anni di lavoro in camera oscura, gli permetteva di creare immagini di straordinaria profondità emotiva. Un esempio emblematico è la foto “Madonnina velata” del 1959, dove la statua simbolo di Milano emerge dalla nebbia in un crescendo di grigi che sembrano dissolversi nel cielo, creando un’immagine di potente spiritualità laica. In definitiva, il bianco e nero per Orsi era molto più di una tecnica: era un linguaggio visivo che gli permetteva di trasformare la cronaca in poesia, il documento in arte, senza mai tradire la verità essenziale dei suoi soggetti.

Carlo Orsi, Milano, 2015. Senza ombrellone. Castello Sforzesco © Archivio Carlo Orsi
Carlo Orsi, Milano, 1999. Campagna Krizia © Archivio Carlo Orsi

Anche i suoi ritratti in bianco e nero acquisivano una valenza quasi scultorea, con i soggetti che sembravano emergere dallo sfondo come altorilievi, con un’intensità espressiva fuori dal comune. Volti e figure umane diventavano archetipi, icone universali al di là dell’identità specifica dei soggetti ritratti. In definitiva, il bianco e nero per Orsi non era una mera scelta tecnica, ma una visione filosofica ed esistenziale della fotografia come mezzo per penetrare oltre la superficie patinata delle cose e raggiungere l’essenza pura delle forme e degli esseri umani.

Nella ritrattistica, Orsi adottava un approccio informale, creando un’atmosfera accogliente durante le sessioni fotografiche. Questo metodo gli consentiva di cogliere l’essenza dei soggetti in modo autentico. Nella fotografia pubblicitaria, applicava lo stesso principio di naturalezza, cercando di far muovere i modelli con spontaneità in contesti che spesso apparivano straniante o surreale

Pavarotti
Carlo Orsi, Luciano Pavarotti, 1985 © Archivio Carlo Orsi
Carlo Orsi, Loredana Bertè, 1983 © Archivio Carlo Orsi

Il nudo femminile

Chi gh’ha la dònna bella, l’è minga tutta soa.

L’attitudine riservata di Carlo Orsi verso la fotografia di nudo è molto rivelatrice del suo approccio artistico e della sua visione della fotografia come mezzo espressivo. Per Orsi, la fotografia non era uno strumento per catturare bellezze effimere o forme estetizzanti, quanto piuttosto uno sguardo penetrante sulla condizione umana in tutta la sua complessità e profondità. Il nudo, pur potendo essere oggetto di immagini suggestive ed erotiche, rischiava di ridurre il soggetto a un puro esercizio formale, lontano dalle istanze narrative ed esistenziali che interessavano il fotografo milanese. La sua ricerca mirava sempre a scavare oltre la superficie visibile, a indagare gli stati d’animo, le dinamiche sociali e culturali, le contraddizioni celate dietro le apparenze. Ecco perché Orsi preferiva focalizzarsi su soggetti e scene che potessero veicolare significati più stratificati. La maggior parte delle foto di nudo che scattò furono su commissione di riviste.

Carlo Orsi, Maldive, 1989. Servizio per “7” RCS Corriere della Sera © Archivio Carlo Orsi

Un semplice operaio al lavoro, un passante qualunque per strada, un angolo dimenticato di Milano diventavano sotto il suo obiettivo icone di una poetica urbana fatta di fatiche, speranze, contrasti. Persino un oggetto banale come una vecchia bambola poteva assumere una valenza metaforica grazie alla capacità di Orsi di coglierne l’anima segreta.

Questo non significa che Orsi disprezzasse la bellezza fisica o il nudo in sé. Semplicemente, non lo riteneva il veicolo più adatto per trasmettere il suo messaggio artistico e umano. La sua idea di bellezza era più cerebrale che sensuale, più legata alle sfumature psicologiche che alle parvenze epidermiche. In un certo senso, il rifiuto del nudo convenzionale può essere letto come un atto di resistenza, un modo per svincolarsi dalle lusinghe del mero formalismo estetico e riaffermare la supremazia dell’autenticità e della sostanza emotiva nell’arte fotografica. Un’ulteriore spiegazione di questa riservatezza potrebbe risiedere nell’indole schiva e pudica dello stesso Orsi, un uomo riservato e allergico a ogni forma di esibizionismo o provocazione gratuita. Alla fine, ciò che contava per lui era raccontare storie vere, umane, con rispetto e mai invadendo la sfera intima dei suoi soggetti.

Carlo Orsi, Spotorno, 1989. Servizio per “Gioia” © Archivio Carlo Orsi

Una foto che ci piace

Carlo Orsi, Milano, 2013. L’iniziazione. Pinacoteca di Brera © Archivio Carlo Orsi

“L’iniziazione. Pinoteca di Brera” ci mostra un nonno con la sua nipotina (ci scusino i babbi ma preferiamo immaginare un nonno milanese nella foto) nell’atto di insegnarle la bellezza dell’arte. Iniziarla alla visione di un quadro, spiegandole e indicandole anche cosa guardare e molte altre cose. Tutto chiaramente in dialetto milanese.

Conclusione

Come la scighera (nebbia di Milano), quel velo sottile e denso che caratterizza i paesaggi urbani del nord Italia, anche le fotografie di Orsi nascondono per poi rivelare. Il suo bianco e nero naturale, era per lui una metafora perfetta del suo stile fotografico: apparentemente opaca, ma in realtà rivelatrice di dettagli nascosti, di umori e atmosfere. Proprio come la nebbia che sfuma i contorni ma acuisce la percezione, i suoi scatti sembrano nascondere per poi improvvisamente illuminare l’essenza più profonda dei soggetti.

Carlo Orsi, Milano, 1959. Madonnina velata, Piazza Duomo © Archivio Carlo Orsi

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