La fotografia naturalistica, soprattutto dopo l’avvento dell’elettronica in supporto alle macchine, con funzioni come l’autofocus e lo scatto a raffica, ha permesso di osservare gli animali in un modo nuovo.
La capacità di congelare più facilmente i movimenti, soprattutto degli esemplari della fauna più piccoli e veloci, ha reso possibile lo studio di gesti e comportamenti degli animali, normalmente invisibili agli occhi, ritagliandosi uno spazio decisivo anche in ambito scientifico.
Un’altra caratteristica della fotografia naturalistica è quella di farsi portavoce di una sorta di etica che, attraverso la divulgazione delle immagini di natura, flora e fauna, educa e sensibilizza verso modelli di coscienza ecologica e di responsabilità verso l’ambiente.
Ma non è tutto. Per approfondire questo complesso genere fotografico abbiamo raggiunto Franco Fratini, fotografo naturalista, che con estrema passione e dedizione ci ha raccontato la sua visione della natura.

Qual è la tua personale storia della fotografia?
Già da bambino ero molto attratto dalla Zeiss Ikon di mio papà ed iniziai ad usarla frequentando il primo corso di fotografia organizzato dalla scuola media. La Zeiss era priva di telemetro ed esposimetro, quindi dovetti imparare a leggere la luce e questo mi permise di consolidare pochi ma importanti concetti base: tempi, diaframmi ed ISO (anzi, ASA).
Seguivo molto i documentari sulla natura ed ero attratto soprattutto da quelli che mostravano comportamenti animali e scene subacquee: Cousteau era ovviamente il mio mito.
Nel 1980 acquistai la prima reflex che mi seguì per 15 anni. Con amici riuscimmo anche ad allestire la classica camera oscura casalinga.
Nel 1988, si aprì un nuovo capitolo fotografico. Avendo conseguito il brevetto per immersioni subacquee, ricordando Cousteau, fin dalla prima immersione mi presentai con la reflex scafandrata. La fotografia subacquea continuò per una ventina di anni.
Ma la natura non mi attirava solo dal punto di vista fotografico, il coinvolgimento andava oltre: osservare con calma e passeggiare per giornate nei campi, in montagna, lungo i fiumi, era rilassante, era ossigeno in tutti i sensi.
Il digitale iniziava ad essere una realtà ma, nonostante la mia estrazione tecnica, rimasi affezionato alla pellicola per un po’. Solo nel 2004 decisi che anche per me era arrivato il momento del grande passo. Grazie ad internet divenne possibile confrontarsi con molti altri fotografi e i consigli ricevuti furono utili. Il cambiamento vero avvenne nel 2008, quando decisi di frequentare workshop con professionisti, scoprendo nuovi mondi e nuovi modi di fotografare oltre all’importanza della postproduzione. Fu così chiaro quanta strada dovessi ancora percorrere.
Dato per assodato che la condivisione è ciò che consente di migliorare e di arricchire il proprio bagaglio, nel 2009 decisi di iscrivermi ad un circolo fotografico e scelsi il San Paolo di Rho. Grazie alle attività ed iniziative del gruppo ho recuperato molti aspetti della fotografia che altrimenti avrei perso del tutto. E’ iniziata così anche l’attività concorsuale che, risultati a parte, è anch’essa una grande opportunità di confronto su scala internazionale.

Sono ormai due decenni che la Fiaf è al vertice della fotografia naturalistica mondiale. In particolare hai vinto la coppa del mondo con la nazionale nel 2020 e nel 2012. Ci vuoi raccontare questa esperienza?
Ho iniziato a partecipare a concorsi nel 2009. Dopo le prime ammissioni e qualche premio (pochi) nel 2011 decisi di inviare qualche immagine in occasione della raccolta da parte della FIAF per la Biennale Natura del 2012.
La Biennale o Coppa del Mondo è una competizione a squadre in cui ogni nazione presenta la propria selezione di immagini per le due categorie previste: “immagini stampate” (10 immagini una per autore) e “immagini proiettate” (20 immagini massimo due per autore).
Quando nel 2012 il commissario mi disse che ero tra i selezionati non ci potevo credere, essere incluso nella nazionale più forte del mondo aveva dell’incredibile. In realtà la vera sorpresa fu poi sapere che l’Italia aveva vinto entrambe le categorie e che io avevo contribuito con due foto per sezione “immagini proiettate”.
Sinceramente questo non mi convinse di essere all’altezza dei fotografi famosi miei compagni di squadra, ma fu un’enorme iniezione di fiducia.
Ogni due anni partecipo alle selezioni, nel 2018 sono stato escluso per pochissimo e nel 2020 ho vinto il secondo titolo questa volta nelle “immagini stampate”.
In entrambe le occasioni l’Italia ha vinto entrambe le categorie, a conferma dell’altissimo livello della fotografia naturalistica italiana.

Oltre che come concorrente, hai partecipato ad alcuni concorsi in veste di giurato. Quali sono i parametri principali su cui si costruisce una buona foto naturalistica? Viene valutata la fotografia in sé oppure in relazione anche alle caratteristiche ed al comportamento degli animali?
Nelle giurie si valutano sia aspetti tecnici che artistici, oltre all’originalità e alla creatività. La luce ha sempre un ruolo fondamentale, come in ogni genere fotografico. Una foto deve essere sufficientemente nitida, a fuoco dove serve, con colori naturali e ben composta.
Il comportamento degli animali è importante perché rappresenta il contenuto, “la storia” che si vuole raccontare.
Anche mossi intenzionali che rappresentino la dinamicità dell’azione sono apprezzati.

Riallacciandomi alla domanda precedente, come si legge correttamente una fotografia naturalistica?
La prima domanda da porsi di fronte ad una foto di natura è “cosa vuole comunicare l’autore?” Potrebbe essere una foto che ritrae una specie rara o un atteggiamento particolare di una specie comune.
Nella fotografia naturalistica ci sono varie tipologie: il ritratto, il soggetto ambientato, l’effetto artistico.
Altro elemento determinante è lo sfondo, anche più importante del soggetto stesso. Deve essere tale da mettere in risalto il soggetto senza aggiungere elementi di disturbo, siano questi forme, luci o accostamenti cromatici dissonanti.
Molti ricercano nelle foto la nitidezza estrema e l’assenza totale di rumore. Personalmente do un peso relativo a questi elementi, valuto maggiormente il contenuto ed il valore della scena ritratta. L’impatto emotivo è ciò che conta. Una foto che racconta un evento particolare, un’azione o un comportamento difficilmente osservabile, anche se presenta rumore, ha un valore intrinseco non trascurabile, che nella lettura va sicuramente considerato.

Che ruolo ha la postproduzione nel tuo flusso creativo?
La postproduzione è un argomento di per sé molto dibattuto, in natura deve sottostare ad alcune regole. La questione fondamentale è se sia giusto farla oppure no.
Questo dilemma esiste da sempre (anche in analogico si è sempre messa in atto) ma da quando esiste il digitale si sono aperti moltissimi dibattiti.
Io sono un fermo sostenitore della post, è un passo importante del processo fotografico che finalmente è nelle mani dell’autore invece di essere affidato al laboratorio di sviluppo e stampa. In digitale non eseguire la post non vuole dire essere un purista che ottiene una immagine “vera”, semplicemente vuole dire delegare alla macchina il compito di svolgerla.
Il punto importante è che in fotografia più che cercare la verità, che non esiste perché ognuno vede la propria, è importante esprimere quello che si vuole trasmettere. Quindi se utilizzo la macchina fotografica in modo da far risaltare luci e ombre (agendo sull’esposizione) che l’occhio non percepisce, perché non devo poi completare il lavoro sopperendo a ciò che la macchina cattura ma non è in grado di mostrare?
Occhio e sensore vedono le cose in modo diverso, quindi già scattando altero la realtà, quello che non va perso di vista è passare da ciò che vedo ed interpreto a ciò che sarà il risultato finale, frutto della espressività e creatività dell’autore.
In natura vanno comunque rispettate alcune regole fondamentali: nulla va aggiunto e nulla va cancellato (a parte i ritagli per composizione) e le modifiche a luci, toni, colori devono mantenere un aspetto naturale.
In definitiva la post è un modo per sopperire a carenze tecniche che i sensori attuali, se pur molto performanti, non sono ancora in grado di superare.

Come ti relazioni al mondo naturale ed animale quando ti appresti a fotografare?
In natura l’uomo è ospite, i padroni di casa sono gli animali che vivono, nidificano e cacciano nelle aree che visitiamo. La natura si basa su equilibri precari che molto facilmente si infrangono. E’ necessario quindi muoversi con cautela per non arrecare danni.
E’ necessario osservare l’ambiente con attenzione e muoversi con cautela per interferire il meno possibile con le abitudini degli animali ed anche con eventuali soggetti nascosti alla vista.
L’uso di capanni o teli mimetici è molto importante per ottenere buone immagini, ma lo è ancora di più per non allarmare e quindi stressare i soggetti. Qualunque scatto non è giustificato se arreca danno in qualche modo all’animale o all’ambiente.

Quanto è importante la fase di pianificazione degli scatti e di cosa si compone il momento prima dello scatto fatto di attese, silenzi, meditazione?
Per la fauna la pianificazione è importantissima. Solo conoscendo le abitudini della specie si può ottenere un certo risultato.
Se ad esempio voglio riprendere i combattimenti tra gruccioni devo sapere che avvengono circa nella prima metà di maggio, periodo durante il quale si formano le coppie. E’ utile fare prima un sopralluogo per capire dove appostarsi, in funzione della luce e dello sfondo.
Direzione della luce, abitudini della specie e sfondo sono elementi che non è sempre facile conciliare. Una volta appostato inizia l’attesa che può durare ore, durante le quali si osserva, si eseguono scatti di prova per non farsi cogliere impreparati di fronte all’evento atteso, che potrebbe avvenire all’improvviso facendo sfumare l’occasione.
La sola passione per la fotografia senza la passione per la natura in queste situazioni non basta. Il bello non è solo scattare foto, ma è anche osservare nel silenzio apprezzando la pace che la natura offre.

Molto spesso giudicata (a torto) soltanto molto tecnica, la fotografia naturalistica è capace, nei suoi punti più alti, di riconnettere lo spirito umano con la natura. Cosa ne pensi?
Sono completamente d’accordo, la fotografia naturalistica è sicuramente tecnica, richiede attrezzature specifiche che consentono di catturare dettagli non percepibili ad occhio nudo.
Come tutti i fotografi di natura consulto libri che per il riconoscimento delle specie, ma ho notato che riconosco molto più facilmente quelle che ho osservato dal vivo, anche per pochi secondi, rispetto a quelle che ho visto molte volte sui libri. L’osservazione diretta crea un contatto molto forte, consolidato dalla possibilità di rivedere i dettagli nelle immagini.
Tutto questo sensibilizza molto il fotografo rispetto alla conservazione sia delle specie che dell’ambiente, che è la base imprescindibile dell’equilibrio biologico.

Quali consigli daresti a chi voglia cominciare questo tipo di genere fotografico?
Considerando in natura sia animali che paesaggio, consiglio di partire da questo ultimo e di passare un po’ di tempo immersi nella natura, di valutare le proprie sensazioni e di allenare l’occhio a riconoscere soggetti e luci.
Per fotografare gli animali serve come detto attrezzatura specifica, impegnativa sia economicamente che fisicamente (il trasporto non è cosa da poco). Se possibile sarebbe opportuno familiarizzare con ottiche lunghe che possono creare qualche difficoltà. In alternativa si può utilizzare un medio tele in ambiente controllato, dove gli animali sono più confidenti.

Cosa ti hanno insegnato gli animali e la natura nel tuo percorso fotografico?
La natura in generale mi ha insegnato il suo valore. Non sono un esperto, ma osservandola appaiono evidente i fragili equilibri che da sempre consentono la vita di animali e vegetali.
Fotograficamente ho imparato l’importanza di conoscere i soggetti e di prevedere quanto potrebbe accadere, non perdere occasioni irripetibili è importante. Occorrono anche una buona preparazione tecnica un’ottima conoscenza della propria attrezzatura.

Infine, in quale animale ti reincarneresti in una ipotetica prossima vita?
Difficile rispondere, la scelta è molto ampia. Penso che sceglierei un migratore, per poter viaggiare nel mondo, magari uno di quelli che tornano nel nido dell’anno precedente e lo ricostruiscono.
Una rondine per esempio. Ritrovare casa tua nel mondo senza perdere la bussola è una cosa molto bella.

Mirko Bonfanti