L’approssimarsi della primavera sembrava promettere decisamente bene per la fotografia in Italia. Eventi, incontri, festival, mostre. Purtroppo, come sappiamo tutti, siamo costretti a casa, come misura preventiva, per limitare al massimo la diffusione del contagio da COVID-19. E di conseguenza tutte le attività ricreative sono state annullate o posticipate a data da definire.
In questo delicato momento di isolamento è utile e doveroso dare visibilità a quegli appuntamenti che hanno dovuto sospendere la partecipazione del pubblico.
Una delle mostre che merita sicuro interesse è Ganga Ma di Giulio Di Sturco a cura di Eimear Martin presso la Fondazione Stelline di Milano, in programma fino al 22 Marzo 2020, ma temporaneamente chiusa.
Giulio Di Sturco (Roccasecca,1979), vive e lavora tra Londra e Parigi. Ha studiato presso lo IED di Roma prima di trasferirsi in Canada e poi in India. Collabora con diverse testate editoriali internazionali tra cui Financial Times, Vanity Fair, National Geographic, Wired e The New York Times. Tra i numerosi riconoscimenti ricordiamo ben tre premi World Press Photo, i Sony Photography Awards, il British Journal of Photography International Awards e due Getty Grant. Il suo lavoro Aerotropolis è stato tra i finalisti dell’Aesthetica Prize ed è stato nominato per il prestigioso Prix Pictet 2019.
Le tematiche principali della produzione di Giulio Di Sturco ruotano intorno alla società del futuro: l’adattamento dell’umanità ai cambiamenti climatici, ambientali e tecnologici e la futurologia come esplorazione e previsione degli sviluppi futuri.
<<Il protagonista della mia storia è un’entità inanimata. Ho deciso di considerarlo invece come un essere umano e di ritrarlo come se stessi documentando la vita di una persona>> Giulio Di Sturco
Ganga Ma, che tradotto significa Madre Gange, non è un’indagine a breve termine, bensì il prodotto di dieci anni di ricerca fotografica lungo le oltre duemilacinquecento miglia del fiume sacro Gange, dalla sua sorgente situata nella catena dell’HimaIaya, fino alla foce nel Golfo del Bengala, in Bangladesh. Iniziato nel lontano 2005, il progetto ha portato Di Sturco a documentare i gravi effetti dell’inquinamento, della industrializzazione e dei cambiamenti climatici, sulla natura e sull’uomo.
II Gange è un fiume di vitale importanza per gli indiani, ma è anche uno dei più inquinati del mondo. Per gli induisti rappresenta un’entità sacra, ed è un esempio della contraddizione tra uomo e ambiente, intimamente connesso con ogni aspetto fisico e spirituale della vita. Inoltre fornisce prezioso sostentamento alle quattrocento milioni di persone che vivono lungo le sue rive, oltre un terzo della popolazione indiana. Ma iI suo ecosistema ricco di specie animali e vegetali, è messo in difficoltà dalla continua riduzione del livello delle acque e dai rifiuti tossici riversati ogni giorno nel fiume.
Con Ganga Ma, spiega la curatrice Eimear Martin, Giulio Di Sturco «tratta il fiume come un vero e proprio personaggio, una entità vivente offrendoci un ritratto ravvicinato poetico e inquietante del Gange, che ci obbliga a riflettere sul grave impatto del cambiamento climatico e sulle devastanti conseguenze della produzione agricola intensiva, dell’industrializzazione e dell’urbanizzazione lungo le sue rive».
Sono presenti in mostra una selezione di 24 fotografie e 2 wallpaper che ben riassumono la visione di Giulio Di Sturco. Il suo linguaggio creativo genera delle immagini sospese in un contrasto tra forma e contenuto, dalla resa quasi pittorica, rarefatta e desaturata che si distacca dalla pura fotografia documentaria mantenendo però i crismi della testimonianza tangibile.
Una prima immagine seducente e poetica, ci accoglie all’ingresso: ma è soltanto un varco oltre il quale il vero corpus del progetto prende sostanza, necessario per avviare una osservazione meditativa. Le immagini successive, anch’esse piacevoli in superficie, ad uno sguardo più attento si spogliano e si rivelano: quello che sembra un iceberg solitario che galleggia sul fiume si dimostra invece una massa enorme di schiuma chimica riversata dalle fabbriche.
Di Sturco compone le sue fotografie cercando un’atmosfera di quiete e compostezza. Inserisce i soggetti allo stesso livello del paesaggio, senza gerarchie visive, quasi alla ricerca di un equilibrio uomo-natura ormai compromesso. Le fotografie restituiscono così un senso di semplicità ed immobilità.
La resa rarefatta e desaturata delle immagini viene ottenuta utilizzando sia fotocamere analogiche che digitali, alle prime luci dell’alba, quando la luce è più tenue e delicata. Ne risultano così avvolte da un caldo color sabbia, preludio di una imminente siccità della terra. Questa percezione viene ulteriormente amplificata dalla sottile texture della carta di stampa che regala maggiore tridimensionalità all’immagine.
L’ambizione di Di Sturco è quella di avviare un pensiero critico e radicale sulla relazione fra uomo ed ambiente, nell’ottica di un recupero della consapevolezza che le azioni distruttive degli uomini possono essere fermate e modificate.
La mostra è accompagnata dalla omonima monografia (Gost Books, 2019), che include un saggio introduttivo di Vandana Shiva, scrittrice e ambientalista indiana, utile per capire meglio la situazione critica del Gange, che riportiamo in forma riassuntiva di seguito.
<< Se Ganga vive, vive anche l’India. Se Ganga muore, muore anche l’India. >>
Vandana Shiva, scrittrice e ambientalista indiana
Il mio Paese natale è il Paese dove scorre il Gange […] il fiume che, da tempi immemorabili, nutre la nostra cultura, la nostra civiltà, la nostra agricoltura, la nostra economia. Dal punto di vista spirituale ed ecologico ho vissuto questo fiume come un’entità femminile, una Madre: come la chiamiamo noi, Ma Ganga.
[…] iI cambiamento climatico sta contribuendo all’innalzamento delle temperature sull’HimaIaya; come conseguenza cade meno neve, e quella che cade si scioglie maggiormente. Questo significa che la sorgente stessa del Gange, nel ghiacciaio del Gangotri, è in pericolo. Tra il 1935 e il 1956 il ghiacciaio si ritirava di 4.35 metri all’anno; tra il 1990 e il 1996, di 28,33 metri. Attualmente ci troviamo tra i 20 e i 38 metri all’anno. Se il fenomeno prosegue a questo ritmo, il Gange si trasformerà in un fiume stagionale, con pesanti ricadute ecologiche ed economiche su tutto il suo bacino, da cui dipende la maggior parte dell’India. Questa è la ragione per cui la giustizia climatica è il presupposto della giustizia idrica.
Nel giugno del 2013 una serie di eventi meteorologici estremi, tutti legati al cambiamento climatico e combinati a ignoranza e avidità – ignoranza dei sistemi ecologici su cui si sorregge il fragile ambiente himalayano e avidità di guadagnare dallo sfruttamento delle sue terre e delle sue risorse idriche – hanno causato l’alluvione della valle di Kedarnath, che ha spazzato via interi villaggi, scuole, strade e ponti. Migliaia di persone sono scomparse.
[…] Gli affluenti del Gange, nei loro tratti superiori, sono minacciati da dighe e deviazioni di corso, La diga di Tehri, alta duecentosessanta metri e mezzo e costruita nel punto in cui confluiscono il Bhagirathi e il Bhilangana, è un disastro assoluto: ha inondato l’antica capitale di Tehri Garhwal, ha distrutto le distese fertili e lussureggianti dei campi nelle vallate dei due fiumi e ha costretto alla fuga le centomila persone che vivevano sparse in centoventicinque villaggi, trenta dei quali sono stati completamente sommersi. [… ] II violento monsone del 2010 ha avuto l’effetto di acuire tutti questi effetti catastrofici.
Una serie di centrali idroelettriche ha bloccato il flusso del Gange, che fino ad allora era stato ininterrotto. Ormai il fiume è prosciugato in molti tratti.
[…] Nelle zone pianeggianti una grande minaccia per il Gange e per il suo affluente Yamuna è l’inquinamento, di natura sia industriale, sia fognaria. E poco importa che vengano spesi milioni per ripulire i corsi d’acqua attraverso appositi piani d’azione, perché l’inquinamento del nostro fiume sacro non fa che aumentare a causa di una combinazione di corruzione e tecnologie poco adeguate.
L’industrializzazione e l’urbanizzazione hanno trasformato i nostri fiumi sacri in canali di scarico per gli agenti inquinanti. Le acque dello Yamuna sono pulite finché non arrivano a Delhi: poi, dopo aver attraversato la città per ventidue chilometri, risultano contenere già il 70% dell’inquinamento di tutta l’estensione del fiume. I piani d’azione si sono limitati alla costruzione di impianti centralizzati per il trattamento dei liquami che si sono rivelati inutili e il 70% delle acque luride si riversa nel fiume così com’è, Il fiume muore a causa dell’inquinamento e la terra muore perché viene privata delle ricche sostanze nutritive che derivavano dalle acque.
[…] La minaccia finale nei confronti del Gange è la privatizzazione dell’acqua, che riduce questa preziosissima risorsa a un bene di consumo, trasformando le grandi società di capitali in enti proprietari e venditori d’acqua e i cittadini in acquirenti e consumatori. Il ruolo dei cittadini e delle comunità come difensori e protettori delle acque risulta distrutto; il diritto umano all’acqua, riconosciuto dall’ONU nell’aprile 2010, è minato. È per questo che, all’avvio del processo di privatizzazione dell’acqua del Gange nel tratto tra Delhi da Tehri per mano della multinazionale Suez in collaborazione con la Banca mondiale, abbiamo fondato un’Alleanza per la gestione democratica delle acque e detto alla Banca mondiale e al governo di Delhi che Madre Ganga non è in vendita. II progetto della Banca mondiale è stato ritirato e la privatizzazione è stata fermata.
[…] Le acque sacre ci portano oltre il mercato, in un mondo fatto di miti e narrazioni, di fede e devozione religiosa, di cultura e di celebrazione.
[…] Il movimento che desidera salvare il Gange e il suo flusso nirmal (pulito) e aviral (ininterrotto) non è solo un movimento che desidera salvare un fiume. È un movimento che vuole salvare l’anima tormentata e inquinata dell’India, oggi soffocata dal consumismo e dall’avidità più gretti, alienata dalle sue origini ecologiche e culturali.
II nostro movimento si basa sul riconoscimento dell’inviolabilità e della sovranità del fiume Gange. La civiltà ecologica indiana vive all’interno, e attraverso, Ganga Ma. Se Ganga vive, vive anche l’India. Se Ganga muore, muore anche l’India.
Vandana Shiva
Mirko Bonfanti