I Buckaroo di Emanuela Caso

Emanuela Caso, classe 1984, romana, intraprende studi artistici formandosi con indirizzo pittura a olio. La sua ispirazione si rivolge verso artisti come Vasilij Vasili’evic Kandiskij e Amedeo Modigliani. 

Dopo aver iniziato l’Accademia delle Belle Arti di Roma, interrompe questo percorso per dedicarsi alla moda come assistente di direzione artistica in agenzie di moda e pubblicità. Nel 2009 inizia il suo approccio alla fotografia appassionandosi a fotografi come di Herb Ritts, Richard Avedon e Peter Lindbergh, sperimentando la ritrattistica e studio delle luci. 
 

Nel 2015 da vita al progetto fotografico e culturale “Women” sui diritti delle donne nel mondo. 

La prima esposizione è stata inaugurata nel 2017 nella città di Spoleto con il Patrocinio dell’Assessore alla Cultura. 

Si occupa di fotografia culturale e di ricerca, documentando storie legate all’ universo femminile e tematiche sociali tra arte contemporanea e letteratura, ispirandosi alla vita di donne come Tina, Modotti, Diane Arbus, Nan Goldin, Cindy Sherman, Sabine Weiss. 

Come e quando è nata la tua storia personale con la fotografia? 

È iniziata molti anni fa sperimentando collaborazioni trasversali dietro le quinte nel campo della moda. La mia curiosità e passione mi hanno dato modo inizialmente di approfondire i grandi nomi in questo ambito come Helmut Newton, Avedon, Herb Ritts, successivamente mi sono spostata verso la fotografia documentaristica.  

Il passo decisivo è stato la creazione di un progetto storico sui diritti delle donne nel mondo del lavoro “WOMEN”. 

L’essermi misurata con la creazione di una storia interagendo con le persone e viaggiando ha fatto emergere in me un bisogno di narrare storie. 

Aggiungo che per quanto mi riguarda la fotografia è un percorso di crescita ed introspezione dell’essere umano che viaggia in parallelo alla mia vita quotidiana.  

Il tuo ultimo reportage che ha come titolo “Buckaroo” documenta la vita di due giovani ragazzi, Sara e Andrea, nel CH Ranch fondato da loro stessi in Umbria, esattamente nella località Boschetto Nocera Umbra. È un tema poco conosciuto, almeno in Italia. 
Ci puoi spiegare che cosa si intende per Buckaroo? 

Si il reportage documenta una sintesi del quotidiano di Sara e Andrea, nella località umbra Boschetto, dove vivono e lavorano. Presso il Ch ranch, creato anni fa da Andrea, vi è anche la loro piccola casa caratteristica. Il Ch Ranch è frequentato anche da un gruppo di giovani del posto che ripercorrono le tradizioni del Buckaroo. Il Buckaroo eredita dai Vaqueros, le terminologie, le attrezzature e lo stile di addestramento dei cavalli caratteristici della Monta Spagnola, già discendente dalla Monta Moresca che si era diffusa nella penisola iberica dopo la conquista operata dai Saraceni. La loro finalità era quella di insegnare agli abitanti del posto il lavoro del mandriano, spostare e guidare la mandria nelle grandi praterie e dirigerle sino ai ranch dei proprietari. 

Dunque i Buckaroo sono considerati i “guardiani” delle grandi mandrie negli spazi sconfinati del Nord Ovest degli Stati Uniti. Essere un Buckaroo oggi, in Italia, è secondo te uno stile di equitazione o una filosofia di vita? 

Diciamo entrambe, in quanto il Buckaroo oggi viene riproposto per lo più nelle gare di equitazione alla Monta alla Californiana con le varie fasi che ne conseguono come ad esmpio il Ranch roping, la marchiatura dei vitelli. Si tratta di una riconnessione con il mondo west, il contatto con la natura, gli animali. Ciò è il risultato di un vero e proprio stile di vita, ben lontano dai canoni moderni e quasi anacronistico se vogliamo, portando le persone ad avere anche un atteggiamento molto più semplice e schietto.  

Perché hai deciso di raccontare la scelta di Andrea e Sara? Qual è la storia da leggere tra le righe delle tue immagini?   

Come fotografa e narratrice cerco di far emergere storie poco conosciute e che sento mie. Negli ultimi anni mi sono appassionata al mondo dell’America On The Road e all’immaginario country; questo studio mi ha offerto la possibilità di sperimentare la fase creativa dei miei lavori.  Con le mie immagini cerco di narrare una parte del nostro paese forse inaspettata e che esprime uno stile di vita che andrebbe rivalutato. Le nuove generazioni soprattutto sono indirizzate verso un paradigma legato al mondo nuovo digitale e a stili di vita che implicano un modo di vivere sempre meno manuale e sociale. 

Non sempre occorre allontanarsi molto per raccontare una storia. Come ti sei preparata per realizzare questo reportage a km zero? Hai vissuto con loro?  

Preparare un reportage non è semplice. Per questo lavoro ho potuto contare su un appoggio in Umbria, avendo così modo di conoscere ed esplorare varie realtà tra cui il CH Ranch. Ho cominciato a prendere contatti e a organizzarmi diversi mesi prima di realizzare il reportage. Al mio arrivo ho vissuto con loro durante il giorno creando un indispensabile rapporto d’intesa e complicità. Fotografare deve essere un atto di espressione e libertà prima di essere un lavoro. 

Sai andare a cavallo? C’è qualcosa in quello che hai visto che non ti aspettavi o che ti piacerebbe portare nella tua vita? 

Non so andare a cavallo, però in ogni progetto che scelgo da realizzare c’è sempre qualcosa di me, uno specchio che riflette la mia vita. Sono una persona camaleontica e anticonformista, lo stile country è una parte che mi rappresenta. La mia vita si divide tra viaggi, Roma che è la mia città ed il tempo da trascorrere in natura. 

Le tue immagini sono sempre lontano dagli stereotipi e noi di Discorsi Fotografici siamo curiosi. Cosa guarderanno i tuoi occhi prossimamente? 

Grazie per questo interesse. Ho in programma un reportage per documentare le Tribù indigene del Centro e Sud America. Nel contempo porto avanti nel tempo libero un progetto sull’identità, una fotografia più concettuale e surrealista. 

Se non ci fosse la fotografia nella tua vita? 

Gli animali sono il mio altro grande amore. Mi dedico a svariate forme di volontariato. Penso proprio che se non lavorassi nel campo artistico, che mi permette di spaziare dalla sociologia all’antropologia, sarei un’etologa o una veterinaria. 

Valeria Valli