Storicamente nota con l’appellativo “Tri-X”, KODAK TX 400 è stata una delle emulsioni più utilizzate dai fotoreporter che, a partire da metà Novecento, sono stati inviati in Vietnam a fotografare il conflitto e dove, come naturale conseguenza, è nato il moderno fotogiornalismo di guerra. Da qui si spiega come mai, ad oggi, Kodak TX sia una delle emulsioni preferite dai reporter, nonostante la sua veneranda età.
La sua nascita risale al lontano 1954: lanciata inizialmente con una sensibilità di 200 ISO solo nei formati 135 e 120, fu accompagnata dalla Plus-X 125 (rimasta in produzione fino al 2011): il fotografo poteva così scegliere tra una grana estremamente fine (la Plus-X) ed una pellicola adatta alla fotografia d’azione (la Tri-X).
Il motivo del suo enorme successo, che ancora oggi fa sì che sia una delle pellicole più prestigiose mai fabbricate, è da ricercare principalmente in due fattori. Innanzitutto la sensibilità elevata, che consente un’esposizione più rapida rispetto alle convenzionali pellicole da 100 o 125 ISO. In secondo luogo, la possibilità di esporre la pellicola ad indici ISO differenti da quello di base (400 ISO) ottenendo risultati non solo accettabili, ma sicuramente ottimi, semplicemente variando lo sviluppo.
Lavorare con una pellicola di 400 ISO significa disporre di una sensibilità quadrupla rispetto ai 100 ISO; poterla “tirare” fino a 800 o addirittura 1600 ISO la rende indubbiamente una delle pellicola più apprezzate e utilizzate e gli addetti ai lavori.
Incuriosita dalla sua affascinante storia e attratta dalle sue interessanti caratteristiche, ho deciso di metterla alla prova: zaino in spalla e macchina fotografica alla mano, ho caricato un rullino Kodak TX 400 nella mia Olympus OM-10. La destinazione scelta per questo test è stata Genova dove, assieme a qualche amico, ho avuto modo di testare l’emulsione in diverse situazioni e poter trarre le mie conclusioni. Ma prima di arrivarci, analizziamo il processo di sviluppo dei negativi.

La Kodak TX 400 può essere trattata con diversi tipi di sviluppo: io ho optato per l’R09 One Shot (l’intramontabile Rodinal) alla diluizione 1+25 alla temperatura di 20°C per un tempo totale di 7 minuti. Trenta secondi di agitazione continua e a seguire un rovesciamento ogni 30 secondi. A sviluppo ultimato, il liquido scolato dalla tank si presenta di un colore blu acceso: questo è dovuto al denso strato anti-ahlo presente sulla pellicola, che è possibile eliminare con un prebagno di un minuto in semplice acqua distillata.
Per lo stop ho utilizzato invece il classico Ilfostop marcato Ilford. Diluzione 1+19 alla temperatura di 20°C, agitazione continua per un minuto – tempo più che sufficiente affinché il ciclo di arresto si completi.
Passando al fissaggio, mi sono affidata al fedelissimo FIX-Ag, alla diluizione 1+5 per 5 minuti.
Infine, dopo aver sciacquato la pellicola per una ventina di minuti sotto acqua corrente, sono passata all’imbibente: si tratta di un passaggio che spesso viene dimenticato, ma la sua importanza è cruciale, in quanto evita che si formino macchie di calcare sull’emulsione della pellicola. Ha inoltre proprietà antistatiche, agisce come stabilizzatore, riduce “l’incurvamento” delle pellicole e il tempo di asciugatura. Per questo ultimo step, ho usato il Washing Bath di Ars-Imago. Ne basta una piccola goccia, da diluire in acqua distillata direttamente nella tank con la pellicola inserita, e lasciare agire per circa un minuto.

Ma passiamo ora alla parte più attesa: gli scatti. Tutte le fotografie sono state scattate con una Olympus OM-10 a mano libera nel mese di maggio 2022. Per questa pellicola ho voluto sperimentare diverse situazioni di ripresa: dal ritratto, al paesaggio, all’architettura urbana, con l’obiettivo di testare le sue potenzialità e confrontare i risultati.
Fin dai primi scatti, è possibile notare la caratteristica principale che ha reso così popolare Kodak TX 400: la grana. Pastosa, granulare, in qualche modo “organica”, in grado di conferire agli scatti un retrogusto antico.



Un elemento che salta subito all’occhio è il divario che c’è tra questa pellicola e il digitale: nessuna delle foto presenti in questa recensione potrebbe minimamente essere paragonata ad una fotografia scattata con un mezzo digitale. Questa osservazione, che non vuole essere né un punto a favore dell’analogico, né del digitale, rispecchia alcune delle sue caratteristiche principali: grana moderatamente fine, latitudine di posa estesa, gamma tonale piuttosto estesa sia in casi di sottoesposizione che in casi di sovraesposizione, buona resa dei dettagli nelle ombre e nelle luci e contrasti elevati.




A conti fatti, la pellicola Kodak TX 400 non ha disatteso le mie aspettative. Non certo per la sua grana – tutt’altro che fine – e nemmeno per la capacità di catturare luci e ombre – alquanto discutibile. Quello che più mi ha conquistato – e che mi porta a consigliarvi l’acquisto di Kodak TX 400, se non la avete mai provata – è sicuramente il suo aspetto antico e inconfondibile che dura da più di 60 anni e che, ad oggi, ci regala ancora immagini dal fascino vintage e sperimentale.




Leggendaria. Flessibile. Versatile. Sporca. Contrastante. Se dovessi riassumere Kodak TX 400 in poche parole, sarebbero indubbiamente queste cinque. Una pellicola che, grazie alla sua pastosità, cattura le immagini in maniera autentica, essenziale, talvolta ultraterrena. Un film in qualche modo “senza filtri”, in grado di adattarsi a qualsiasi situazione, capace di immortalare l’attimo così com’è, senza troppi fronzoli, restituendoci fotografie sincere e autentiche, che rispecchiano l’animo e lo scopo per cui Kodak TX 400 è stata creata ed è diventata leggenda.
Chiara Cagnan