Su una sola immagine: Caraibi (1996) di Mauro Raffini

Traiettorie

Certo che l’immagine Caraibi del 1996 del fotografo cuneese Mauro Raffini (1946) andrebbe proprio vista dalla prospettiva da cui è stata scattata; farci sovrastare realmente dai tre bambini che ci guardano dall’alto e dal quarto in volo sopra di noi, nel salto aperto prima del tuffo. Sembra davvero che questo angelo sotto sforzo, o rapace predatore, ci stia arrivando addosso: la gravità pare attrarlo direttamente verso di noi, e dobbiamo prepararci all’impatto. Anche gli sguardi degli altri bambini sembrano rivolti con una certa apprensione verso l’ingombro che in questo momento rappresentiamo, un ostacolo tra il tuffatore e l’acqua. Eppure scopriamo che in verità il salto sta compiendo una parabola tutta diversa, arcuata e oblunga, con la quale il fanciullo sta cercando di superarci, e di arrivare all’acqua scavalcandoci.

Incredibile constatare come in una stessa immagine siano contenute due prospettive totalmente differenti, il medesimo soggetto sia diviso su due traiettorie diverse. La fotografia ha in questo caso, a tutti gli effetti, due gravità: la caduta perfettamente verticale che ci vedrebbe in pericolo può mutarsi nello stesso istante in quella che ci vede salvi. Il piano dell’immagine conterrebbe in questo caso due possibilità ugualmente valide se non fosse che la realtà si muove per singole mosse, risultando essenzialmente più limitata della sua riproduzione.

In questo senso la vitalità dell’immagine può scompaginare il logico andamento dei fatti, superarne la rigida sequenzialità: restando fermi in un unico punto, possiamo vivere destini diversi, vederci arrivare addosso il giovane tuffatore così come seguirne con lo sguardo la parabola aerea fino alla sua immersione. Possiamo dire che questa specifica fotografia nasconda una struttura edile: coesistono al suo interno, infatti, a un tempo un arco (la traiettoria del tuffo in lungo) e una colonna (quella del tuffo verticale), un’architettura che improvvisamente si fa simultanea e vibrante, rendendoci spettatori ubiqui del medesimo attimo, e dell’azione che contiene.

Scopriamo che un corpo, allo zenit, è in grado di moltiplicare le proprie possibilità di movimento; se alziamo gli occhi a guardarlo parteciperemo all’istante dell’indecisione della gravità, alla sospensione così solenne e alta appena prima del suo precipitare verso terra. Chissà se qualcuno, vedendo il sole perfettamente sopra di sé, si sia mai chiesto se ancora una volta la stella avrebbe seguito la traiettoria dei giorni prima, andando a cadere nell’ovest, o se il meccanismo si sarebbe interrotto, crollando rovinosamente sulla propria testa. Guardando il giovane tuffatore nel suo salto possiamo avvertire quello stesso dubbio, vedendo la realtà dividersi nell’ambiguità sottile delle sue scelte. Immobili assistiamo e subiamo allo stesso tempo lo svolgimento di un corpo lasciato libero nell’aria: lo spettacolo è questa estensione all’infinito del non sapere quale linea la caduta seguirà; in generale l’assenza di un finale alla vicenda che vediamo. Non siamo per nulla abituati al troncamento di un racconto, non conoscerne l’esito è naturale che crei quella frustrazione di chi è stato abbandonato sul più bello. Quasi non vediamo nient’altro: c’è un filo tirato e teso tra gli otto occhi dei fanciulli e i nostri due (e quelli del fotografo prima di noi), mentre l’immagine esonda dai suoi margini per estendersi fino al nostro sguardo, complice necessario per la sua struttura. La fotografia è anche il vuoto che separa la sua superficie da chi la guarda: anch’essa, come il tuffatore, trova compimento dentro una traiettoria specifica. L’immagine è dunque questo corpo pesante lasciato cadere: noi il mare su cui avverrà inevitabilmente la collisione.

Carola Allemandi


Sintesi della biografia di Mauro Raffini (dal suo sito web):
Mauro Raffini è nato a Cuneo nel 1946.
Inizia a fotografare nel’68 ed è fotografo professionista dal 1971.
Realizza negli anni settanta numerosi reportages in Europa; nello stesso periodo si è occupato di critica e tecnica fotografica scrivendo nelle riviste di settore.
Dall’inizio degli anni novanta si dedica alla fotografia d’architettura e paesaggio; in seguito sviluppa una personale ricerca sul colore che lo porta a collaborare con alcune importanti realtà industriali del Paese. Contemporaneamente continua il suo lavoro relativo a temi sociali come quelli sui nomadi, i senza fissa dimora e la multietnicità.
Sue fotografie sono presenti in musei e fondazioni in Italia e all’estero.
Come photoeditor della mostra Exodos della Regione Piemonte è stato insignito della Medaglia del Presidente della Repubblica per l’eccellente lavoro svolto per la realizzazione del progetto e della mostra.