Pellicole ritrovate: KODAK EKTAR 100

Primo film negativo a colori protagonista della rubrica “pellicole ritrovate” è KODAK EKTAR 100, pellicola che, a differenza delle sorelle Kodak ColorPlus o Kodak Gold 200, rientra nella cosiddetta categoria Professional, ossia sullo stesso dignitosissimo piano di una pellicola Portra o di una Ektakrome.

Un aneddoto curioso a proposito di questa pellicola è la sua storia: sebbene il suo nome risalga agli inizi del ventesimo secolo, il film, come lo conosciamo noi oggi, è nato solo nel 2008. Una pellicola relativamente giovane, ma con un nome che vanta più di cento anni. Ma a cosa è dovuto questo salto temporale? La spiegazione risiede nell’etimologia del nome: la parola Ektar altro non è che l’acronimo di Eastman Kodak Tessar, termine che dagli anni ’30 agli anni ’60 venne adottato dalla casa fotografica per indicare una gamma di obiettivi professionali allora molto in voga. Nel 1989, quando fu lanciata sul mercato la primissima versione di Kodak Ektar 100, il nome mutò in questo, per poi essere ribattezzato, nel 1996, in Kodak Royal Gold.
Questo passaggio fu relativamente breve, da momento che la produzione della pellicola venne interrotta solo due anni dopo, nel 1998, ed essere finalmente ripresa a distanza di dieci anni, nel 2008. A questo punto, a livello tecnico la pellicola si presentava molto diversa da allora, e Kodak decise di abbandonare il nuovo nome Royal Gold per tornare alle origini. Fu così che Kodak Ektar 100 ritornò – o meglio, iniziò – a vivere.

A livello tecnico, Kodak Ektar 100 si classifica indubbiamente tra le pellicole più apprezzate dai fotografi di tutto il mondo per tre motivi principali: la grana estremamente fine, la nitidezza eccezionale e i colori vividi.

Curiosa e determinata a mettere alla prova questa pellicola, ho accettato la sfida di accantonare per una volta il caro e vecchio bianco e nero per dare una chance al colore. Ma prima di osservare i risultati e verificare se Ektar 100 ha passato la prova, analizziamo il processo di sviluppo.

Innanzitutto, è bene specificare che lo sviluppo a colori differisce da quello in bianco e nero. In linea generale, per quanto riguarda lo sviluppo a colori, i metodi giù popolari e utilizzati sono due: il C-41 per i rullini negativi e l’E-6 per le diapositive. Avendo io scattato su pellicola, il metodo che ho utilizzato è stato il C-41 e, nello specifico, ho svolto il lavoro usando il kit di sviluppo Ars-Imago.

Prima di iniziare, ho eseguito un prebagno di 3 minuti con acqua corrente alla temperatura di 38°, agitando continuamente per i primi 30 secondi e procedendo con una agitazione di 10 secondi ogni minuto. Questa procedura, che può essere tranquillamente saltata per lo sviluppo in bianco e nero, per il colore è essenziale perché fa sì che la pellicola non subisca lo shock termico quando entra in contatto con l’acqua calda – è essenziale infatti che tutte le chimiche siano portate alla temperatura di 38°; per farlo, consiglio di avvalersi di una vasca di acqua e lasciare in ammollo le soluzioni fino a che non avranno raggiunto la temperatura corretta.

Una volta eseguito questo passaggio, ho iniziato con il primo step, lo sviluppo, diluendo 260ml di chimico in 740ml di acqua, agitando continuamente per 3 minuti e 15 secondi. Sono passata quindi al secondo step, lo sbianca, che si presenta in una soluzione già pronta all’uso da agitare in maniera continua per 45 – 60 secondi.

Terminata anche questa operazione, è la volta del fissaggio: 500ml di chimico da diluire in altrettanti 500ml di acqua da agitare costantemente per un tempo compreso tra il minuto e mezzo e i 2 minuti. A questo punto, prima di passare all’ultimo passaggio, è necessario risciacquare il negativo per circa 8 – 12 minuti sotto acqua corrente ad una temperatura compresa tra 30 e 38°. Infine, è necessario diluire 10ml di stabilizzatore in 990ml di acqua agitando in maniera continua per 1 minuto. Finalmente è possibile aprire la tank, lasciare asciugare le pellicole e ammirare i risultati.

In queste prime fotografie, l’elemento che più salta all’occhio è indubbiamente l’incredibile nitidezza dei soggetti: i contorni delle gambe, così come quelli delle scarpe e della figura sdraiata sono eccezionalmente netti e precisi. Ogni dettaglio è rifinito al millimetro, individuabile e riconoscibile senza nessuno sforzo visivo, aiutato anche dal fatto che le due immagini sono straordinariamente a fuoco. Ogni piega nella maglia, ogni capello della chioma e ogni filo d’erba sembrano essere stati intagliati con uno scalpello nella pellicola: questo contribuisce a donare un senso di chiarezza, di precisione e di pulizia all’immagine nel suo complesso.

Passando alle successive fotografie, è interessante notare come, nonostante la vastità di ombre dovute all’ampia gamma tonale che la pellicola è in grado di scaturire e che potrebbero creare disturbo nell’osservazione dell’immagine nel suo complesso, la grana rimanga eccezionalmente fine. In nessuna foto è percepibile il minimo granello o la minuscola particella di argento metallo, il che favorisce notevolmente la creazione di un’immagine rilassata, distesa, morbida e priva di difetti.

Immaginate se le stesse immagini dei due sentieri, cariche di giochi di luci ed ombre, fossero state scattare con una Kodak Tri-x. Il risultato sarebbe stato quello di un sentiero articolato e arzigogolato, dove la distinzione tra gli elementi sarebbe stata, se non impossibile, decisamente ardua. Questa osservazione non vuole mettere Kodak Ektar 100 su un piano superiore rispetto a Kodak Tri-x, ma ha il semplice obiettivo di sottolineare come la resa di due soggetti, nella realtà uguali, potrebbero essere completamente opposta, andando ad alterare anche il messaggio e il significato che si vuole veicolare attraverso una fotografia.

Sebbene il bugiardino non citi i ritratti come soggetti consigliati per l’uso di Ektar 100, ho voluto provare comunque a scattare qualche fotografia a un paio di volti, con risultati più che soddisfacenti. Le condizioni particolarmente luminose hanno sicuramente contribuito ad estrapolare i colori vividi e accesi di pelle e abiti, donando uno stile vintage, eppure brillante, agli scatti.

A differenza dei paesaggi, infatti, i ritratti non sembrano affatto risalire a tempi passati. Al contrario, se non fosse per i granelli di polvere incastonati nell’obiettivo della macchina fotografica – che facilmente smascherano una analogica – si potrebbe quasi azzardare che queste fotografie siano state scattate in digitale.

In conclusione, non posso non ammettere che Kodak Ektar 100 ha letteralmente fatto breccia nel mio cuore. Sarà perché era la mia prima esperienza con una pellicola a colori – e le prime volte, si sa, che siano positive o negative, non si scordano mai – ma la resa di queste fotografie era esattamente quella che stavo cercando. Colori vividi, lucenti, brillanti, che non mi rimandano né ad una situazione passata né ad un evento nostalgico, ma che al contrario mi trasportano in una dimensione nuova, quasi in technicolor, a tratti ultraterrena, che non conoscevo nella realtà e non riconosco nei vecchi film.

Una pellicola che – per riprendere l’aneddoto sulla sua nascita – nonostante la sua giovane vita e la storicità del suo nome, mi piace definire atemporale, inclassificabile, indipendente da qualsiasi riferimento cronologico o spaziale. Chissà che forse questo suo destino di pellicola senza età e senza storia era già segnato al momento della sua nascita?

Chiara Cagnan