La pratica artistica di Sophie Calle (Parigi, 1953), che attraversa principalmente la letteratura e la fotografia, pone al centro il problema dell’autore e dell’autorialità, servendosi dei suddetti media per riflettere e agire sulla dimensione del quotidiano, sulle sue infinite implicazioni tra realtà e finzione. Non è un caso che molte delle azioni dell’artista confluiscano in libri d’artista o pannelli in cui fotografie e parti testuali dialogano in maniera naturale e dipendente: non possono esserci le une senza le altre. Scrittura e fotografia diventano il luogo privilegiato dell’ambiguità, della creazione di fiction, dove né i testi né le immagini rimandano a una dimensione poetica, di riflessione, ma anzi gli uni si presentano come informativi, in una forma che si avvicina più alle sceneggiature e ai resoconti scientifici che al racconto, mentre le altre sembrano far parte di un reportage.

Insomma, le fotografie illustrano quello che il testo prescrive, diventando testimoni di un’indagine più socioantropologica che intimista e personale.
La Filature, pensata da Calle per la mostra collettiva Autoportraits organizzata dal Centre Pompidou, è un perfetto esempio del suo fare artistico. La performance, documentata fotograficamente e mediante un rapporto investigativo scritto a macchina, si svolge il 16 aprile 1981 per le strade di Parigi.

L’opera si configura come un racconto e si compone di una serie di fotografie e testi. Al centro della narrazione c’è l’inseguimento di Sophie, che è raccontato secondo tre punti di vista: quello freddo e distaccato dell’investigatore, quello più intimo e personale della stessa Sophie, e quello dell’amico, incaricato dall’artista di seguire l’investigatore (o meglio, colui che sembra seguirla, dato che non ne conosce l’identità). Confrontando i rapporti dell’investigatore con quanto scritto dall’artista si nota che non sempre le descrizioni coincidono e non si sa a chi credere. I fatti congelati non sono spettacolari, ma momenti quotidiani della vita di Calle in cui il tempo che scorre, la vita, si fa arte, sottolineando il carattere tanto autobiografico quanto concettuale dell’opera.

Il lavoro dell’artista si presenta infatti come commistione di diverse esperienze artistiche: la Narrative Art, negli anni ’80 ormai al tramonto, il cui intento primario era quello di esprimere quotidianità e il vissuto dell’artista cercando la fusione tra arte e vita; l’arte concettuale, di cui Calle recupera non solo la necessità che il proprio lavoro scaturisca da una ricerca, ma anche la formalizzazione della stessa in un’opera che unisse testo e immagine; e, infine, il surrealismo, da cui l’artista trae il concetto di appropriazione in senso duchampiano, appropriandosi prima dei luoghi del quotidiano, qui elevati ad opera d’arte, e poi delle foto scattate dal fotografo, di cui la Calle si appropria per tessere la trama dell’inseguimento.
Lo spettatore è un ingranaggio del meccanismo narrativo messo in atto dall’artista; è un testimone delle sue azioni quotidiane; è spinto a ricostruire non la vera realtà dell’artista, ma la realtà che lei ha scelto di mettere in opera. Il fruitore è quindi partecipe, attivo, è portato anch’esso a chiedersi se si conosce davvero, se gli altri lo guardano come lui si vede. L’osservatore si chiede se ciò che sta guardando sia effettivamente vita o arte, una messa in scena.
L’aver ingaggiato un’investigatore è indicativo di questo bisogno di Calle di un confronto con l’altro per potersi creare pezzo per pezzo, come lo scrittore fa con i suoi personaggi quando scrive un libro. Lei e l’altro sono due pedine di un gioco-dialogo la cui posta è la definizione di un’autobiografia, veritiera o no che sia.La performance incarna esattamente ciò di cui parla il filosofo francese di corrente fenomenologica Maurice Marleau-Ponty in L’occhio e lo spirito (1960): il movimento che si instaura tra chi guarda e chi viene guardato, rapporto che dà e riceve simultaneamente. La sintesi di questo momento è la messa in opera, sotto forma di gioco, della ricostruzione di sé attraverso gli occhi di qualcun altro.
Per concludere, la pratica di Calle si inserisce nella contemporanea ricerca di sé stessa e dell’altro, mostrando il suo interesse per quel patrimonio letterario costituito dai poetès maudits ottocenteschi, Rimbaud e Baudelaire per esempio, i quali misero al centro della loro poetica la difficoltà nell’afferrare l’altro tanto quanto nel conoscere sé stessi.
Luna Protasoni
Immagini tratte da Google