This Must Be The Place. Le fotografie istantanee di Andrea Tonellotto

Andrea Tonellotto, già noto ai lettori di Discorsi Fotografici (qui l’intervista che gli fece Mirko Bonfanti, il nostro Capo Redattore), è in mostra, fino al 25 marzo, presso la galleria Glenda Cinquegrana Art Consulting (intervistata per DF lo scorso mese, qui). Intitolata This Must Be The Place, l’esposizione raccoglie più di quaranta lavori fra polaroid singole e composizioni, tutte accomunate dall’incessante interesse dall’artista per gli spazi urbani e i giochi di luce. 

L’abbiamo incontrato per farci raccontare i retroscena del suo sapiente uso delle pellicole istantanee.

This must be the place. È evidente dalla prevalenza, in mostra, di fotografie dello spazio urbano che il “place”, il posto, è un posto fisico. Tuttavia, nel scegliere una determinata inquadratura e luce, nonché nel comporre le singole istantanee in composizioni, questo spazio da fisico si fa immaginifico. Considerando questo smaterializzarsi dello spazio, che rapporto hai con la città? Quali suggestioni ti evocano?

Dovete sapere che abito in aperta campagna, e attorno a me, quando guardo fuori dalle finestre vedo solo campi e nient’altro. Il mio rapporto con la città, dunque, è particolare, nel senso che vivo la città  un po’ come un posto esotico. Essendo abituato a vedere principalmente campi e alberi, andare nelle grandi città, o in luoghi in cui sono stati fatti importanti interventi architettonici di interesse, è un po’ come scoprire un posto nuovo. Mi piace indagare le vie, le strade, i palazzi, le case, le ombre e le luci che si creano durante i diversi momenti della giornata. Io sono abituato a vedere solo luce, poca ombra, e quindi ogni paesaggio urbano per me è una sorpresa. 

Andrea Tonellotto, Stadio, 2011, Composizione di 3 Polaroid, cm 32 x 9, Pezzo unico, ©Andrea Tonellotto : Courtesy Glenda Cinquegrana Art Consulting
Andrea Tonellotto, Stadio, 2011, Composizione di 3 Polaroid, cm 32 x 9, Pezzo unico, ©Andrea Tonellotto : Courtesy Glenda Cinquegrana Art Consulting

Le città che fotografi sono abitate prevalentemente da architetture, strade, muri, senza che la presenza umana sia esplicitamente presente, e in cui ritrovo quel lirismo delle città ideali rinascimentali, in cui l’uomo è presente solo in quanto creatore di quei posti silenziosi e (solo nella teoria) perfetti. Come mai questa scelta?

Spero di non essere male interpretato con quello che dico, ma a me la gente non è che piace tantissimo. Nel senso, mi piace molto quello che le persone riescono a realizzare, quando si impegnano e creano delle cose meravigliose. Allo stesso tempo, però, riescono a rovinare tutto. Una cosa che detesto sono le macchine. Mi capita spesso di andare a Milano, e ogni volta resto sconvolto dalla quantità di automobili parcheggiate e in movimento, dal caos che creano, dalle vie che riempiono. Le persone, nelle città, creano molta confusione, e allora io mi permetto di mettere ordine, almeno nelle mie fotografie. Nei miei scatti la confusione è vietata.   

Andrea Tonellotto, Sogni #1, 2018, Composizione di 12 Polaroid, cm 31,5 x 36, Pezzo unico, ©Andrea Tonellotto : Courtesy Glenda Cinquegrana Art Consulting
Andrea Tonellotto, Sogni #1, 2018, Composizione di 12 Polaroid, cm 31,5 x 36, Pezzo unico, ©Andrea Tonellotto : Courtesy Glenda Cinquegrana Art Consulting

Quello che per il pittore sono tela, pennelli e olio, per il fotografo è la luce, che da elemento naturale si fa creatrice di forme. E la scelta dell’uso delle pellicole istantanee, altamente sensibili ai cambiamenti atmosferici, rappresenta forse la più sincera dichiarazione d’amore a questa forma d’arte. Cosa significa lavorare con la luce?

Per me lavorare con la luce è una cosa entusiasmante perché la luce è sempre diversa. Quando ogni giorno esco con la mia Polaroid, estremamente sensibile ai cambiamenti luminosi, è una sfida, perché so che troverò una condizione metereologica diversa, poco prevedibile. 
Ad oggi è tanto tempo che utilizzo la fotografia istantanea, quindi conosco bene la resa che una determinata condizione ambientale (temperatura, umidità, etc.), in un determinato momento della giornata, potrebbe avere sulla fotografia, e mi servo di questa esperienza per scattare le mie fotografie e creare le mie composizioni, talvolta tornando più volte nello stesso posto. È una sfida emozionante poiché, anche tornando nello stesso posto, alla stessa ora, ci sarà sempre una componente di imprevedibilità: potrebbe essere più nuvolo, o più soleggiato, o ancora potrebbe esserci più foschia. Quindi, per uno come me che lavora essenzialmente con i colori, ogni giorno lavorare con la luce è una sfida entusiasmante.
 

Altra dimensione fondamentale della fotografia in genere, e di quella istantanea in particolare, è quella temporale. Sono già stati spesi fiumi di inchiostro (e bit) per sottolineare il consumo immediato e bulimico di immagini che contraddistingue il mondo di oggi, ma quello che mi interessa approfondire con te è l’istantaneità che, in parte, accomuna lo scatto di una polaroid e quello di una fotografia fatta con il cellulare. È chiaro che la polaroid ha comunque bisogno del suo breve tempo di sviluppo – che manca alla fotocamera del cellulare – ma solo il fatto di identificarsi come “istantanea” rimanda al qui e ora. Dove sta, secondo te, lo scarto tra queste due modalità del rendere l’adesso?

Per quanto mi riguarda, dissento su questo accostamento tra la fotografia istantanea e quella scattata con il cellulare, perché sono, nel modo di intendere la fotografia, ai poli opposti. Premetto che, per gusto personale, non amo fotografare con il cellulare, dal momento che le fotografie che si scattano hanno un problema: non vengono praticamente mai stampate. Vengono utilizzate sostanzialmente solo per essere condivise sui vari social, e hanno perciò un tempo di esistenza limitato, quello della condivisione appunto, che va da qualche giorno ad addirittura a qualche ora, per poi sparire. Al contrario, la fotografia istantanea è la cosa più materica che esista. Scatti e subito te la ritrovi tra le mani. E quindi, ripeto, i due modi di fotografare stanno, per me, agli antipodi come concezione fotografica, proprio perché la fotografia scattata con il cellulare non mi piace, non mi diverte, non mi lascia in mano nulla, non è niente di concreto. 

Andrea Tonellotto, Image Composition, 2011-2016, Composizione di 9 Polaroid, cm 31 x 31, Pezzo unico, ©Andrea Tonellotto : Courtesy Glenda Cinquegrana Art Consulting
Andrea Tonellotto, Image Composition, 2011-2016, Composizione di 9 Polaroid, cm 31 x 31, Pezzo unico, ©Andrea Tonellotto : Courtesy Glenda Cinquegrana Art Consulting

Come spiega bene Rebecca Delmenico nel testo critico che accompagna la mostra, ritorni spesso negli stessi luoghi, anche a distanza di molto tempo. Penso, per esempio, a Image Composition, esposto in mostra, datato 2011-2016. Qui stralci di architetture, portate al loro grado zero di punti, linee e superfici da sapienti inquadrature, grazie alla luce divengono parti di un’opera astratta. Come nasce l’opera? Quando capisci essere “matura” per essere assemblata, e termina quindi il processo di raccolta delle immagini?

Quando vado a fotografare, raramente vado a caso, raramente fotografo quello che trovo. Di solito penso a un progetto, mi informo e cerco di costruirmi un percorso (che poi, puntualmente, non rispetto), spesso utilizzando strumenti di supporto quale, per esempio, Google Maps. Mi faccio un’idea dei posti in cui andare, di cosa troverò sulla strada, e solo dopo parto con la mia Polaroid in mano, pronto a fotografare quello che trovo di interessante. Scatto, porto a casa idee, appunti, e poi ritorno nello stesso posto più volte, e scatto di nuovo. È in questo modo che sono nate le composizioni su Londra. Ci sono tornato per quattro anni, sono stato più volte nelle stesse zone, ogni volta scattando e raccogliendo appunti visivi, non costruendo niente, senza nessuna composizione in mente, non pensando a qualcosa di preciso da finire. Poi, dopo essere stato molte volte nello stesso posto, e aver scattato altrettante fotografie, le tiro fuori, le posiziono sul tavolo, le guardo e comincio a selezionare alcuni scatti e accostare quelli che per inquadrature e colori dialogano. Ecco, allora, che mi si presenta davanti la composizione. Se poi dovessi vedere che, per rendere completa l’opera che avevo in mente, mancano un paio di foto, se è possibile torno ulteriormente sul posto anche se, in linea di massima, il lavoro risulta ben definito dopo esserci stato quattro-cinque volte. Trovo tutto ciò che mi serve nel materiale che ho portato a casa da queste visite.

Andrea Tonellotto, London Pride, 2019, Composizione di 12 Polaroid, cm 31,5 x 36, Pezzo unico, ©Andrea Tonellotto : Courtesy Glenda Cinquegrana Art Consulting
Andrea Tonellotto, London Pride, 2019, Composizione di 12 Polaroid, cm 31,5 x 36, Pezzo unico, ©Andrea Tonellotto : Courtesy Glenda Cinquegrana Art Consulting

La composizione, al di là della grande piacevolezza estetica, non è una modalità neutra, ma anzi contribuisce a creare una narrazione. Come si sviluppano e cosa raccontano le tue “storie per immagini”? È un lavoro tutto interiore, o ha anche riferimenti artistici (e non) che la guidano?

Per quanto riguarda come ragiono nelle mie composizioni, mi piace, soprattutto nelle composizioni che riprendono lo stesso soggetto, tornare nello stesso posto, in modo che sia evidente, una volta realizzata la composizione, lo scorrere del tempo. Per esempio, sono andato in un posto vicino a dove abito io, e ci sono tornato per dodici anni, in tutte le stagioni, con tutte le pellicole che la Polaorid ha prodotto negli anni: in questa opera, composta da sessanta scatti, si vede il trascorrere del tempo che ha portato dalla prima all’ultima foto scattata. Questo è quello che mi piace proporre nelle mie composizioni. Ancora, per il lavoro di Londra, sono tornato nella stessa zona, e ogni volta che tornavo trovavo sui muri che avevo fotografato, dei murales diversi; si tratta dello stesso posto fotografato più volte, in cui si vede il cambiamento, lo scorrere del tempo su quel muro. 
Come riferimenti per la composizione e il gioco coi colori, quello che mi ha sempre affascinato, e a cui mi piace pensare quando vedo le mie composizioni con più tonalità dello stesso soggetto, è Andy Warhol. Per il gioco di composizioni che utilizzano la Polaroid, inoltre, potrei citare il lavoro di Hockney e di Paolo Masi. 

Penso al titolo stesso della mostra, This must be the place. I posti delle fotografie rievocano quella dimensione di silenzio e attesa dell’omonimo film di Sorrentino, con un magistrale Sean Penn come protagonista, ma sembrano anche una risposta visiva all’omonimo testo dei Talking Heads, dove David Byrne canta “The less we say about it the better / Make it up as we go along / Feet on the ground / Head in the sky”. Esiste un legame?

Ti devo dire la verità, qua il merito è di Rebecca Delmenico (curatrice del testo critico della mostra, ndr.) perché è stata una sua idea. Ammetto che non conoscevo la canzone dei Talking Heads, ma sono un grandissimo fan di Sorrentino. Quando lei mi ha proposto questo titolo, ovviamente ho subito acconsentito, perché Sorrentino è per me fonte di ispirazione, mi fa sognare ogni volta, qualsiasi cosa produca per me è magia, e in particolar modo This Must Be The Place è un film bellissimo, con dei colori meravigliosi. Il titolo si è rivelato perfetto, perché l’atmosfera che c’è in quel film, secondo me, è quello che mi piacerebbe – e spero di riuscirci – provare a trasmettere con le mie foto.

Composizione Paper & Sky (2017). Qui il “posto” si fa davvero immaginario, ideale, essendo creato dall’accostamento di fogli di carta colorati, e non avendo quindi riferimenti geografici reali. O, ancora, in Red & Blue (2016) e Red & Blue #1 (2016), dove gli spazi di dechiriana memoria sono ricreati in piccoli “set”. Che rapporto intercorre tra finzione e realtà nelle tue fotografie?

Il gioco che mi piace di più della Polaorid è che, già a partire dalle prime foto di architettura, mi piace riproporre luoghi che sembrano irreali con il mezzo più reale possibile, perché la Polaroid non è modificabile in postproduzione. Quindi, quello che io scatto, esce, non può esserci un intervento per modificare quello che sto proponendo, e quindi mi è sempre piaciuto proporre, nella maniera più irreale possibile, qualcosa che la Polaroid certifica come reale. Poi mi sono stancato della realtà e ho addirittura aggiunto fantasia ai miei scatti, andando a costruire direttamente il set, e scattando qualcosa che resta comunque reale, poiché la Polaroid è incontestabile. Mi fa molto piacere quando la gente guarda e si chiede se quello che ha davanti è un posto vero o meno, se esiste o se è un quadro. Questo è quello che mi piace dell’atmosfera della Polaorid e del fatto che sia istantanea, subito reale e pronta. 

Andrea Tonellotto, Composizione Papers & Sky, 2017, Composizione di 16 Polaroid, cm 42 x 36, Pezzo unico, ©Andrea Tonellotto : Courtesy Glenda Cinquegrana Art Consulting
Andrea Tonellotto, Composizione Papers & Sky, 2017, Composizione di 16 Polaroid, cm 42 x 36, Pezzo unico, ©Andrea Tonellotto : Courtesy Glenda Cinquegrana Art Consulting

Veniamo ora alle ultime fotografie esposte in mostra, Trittico azzurro (2015), Trittico Rossoblu (2015) e Dittico Violarosso (2015). Anche qui la scena è allestita, e gli elementi presenti – la palla e il guanto – ricordano quelli del celebre Canto d’amore (1914) di Giorgio de Chirico. Le tue composizioni sono “un canto d’amore” per il pittore della metafisica? O, piuttosto, il culmine della ricerca di un posto sospeso, enigmatico, in bilico tra il reale e l’immaginario?

È entrambe le cose. Sicuramente di più il culmine della ricerca del posto immaginario, quello è stato l’apice della ricerca metafisica. Senza ombra di dubbio, comunque, l’omaggio è a De Chirico, un artista che io adoro, i cui quadri di paesaggi metafisici richiamo in molti miei lavori. 

L’avvento della pandemia di Covid-19 ha costretto tutti noi a prolungati periodi di lockdown, e limitato molto gli spostamenti sul territorio. In che modo questo ha influenzato il tuo lavoro? Che tipo di progetti hai portato avanti in questi ultimi tre anni?

Non potendomi muovere da casa, ho dovuto trovare una soluzione. Ho portato avanti tre progetti che non sono in mostra da Glenda Cinquegrana. La sfida è stata importante, nel senso che non avendo città, muri, da fotografare, non potendo andare in giro, e vivendo io in aperta campagna, non ho potuto sbizzarrirmi con quello che mi circonda, quindi, mi sono costruito tutto in casa. Ho utilizzato una tecnica che mi piace molto, il collage. Stavo già pensando a un lavoro su Berlino, ma avevo fatto in tempo solo a fare le foto del primo viaggio, senza Polaroid, e quindi ho pensato a cosa potessi fare. Le foto c’erano, i colori li avrei trovati, il sole c’era, e allora ho creato dei collage: mi sono messo davanti alla finestra, sempre alla stessa ora, con il sole che creava delle ombre tra i ritagli. Un altro lavoro, sempre col collage e con il lavoro delle ombre, verteva su posti immaginari: ho preso foto dai giornali e le ho assemblate come se fossero foto scattate in uno stesso posto. Il terzo lavoro, invece, l’ho realizzato con delle scatole di scarpe, cartoncini colorati e il sole che creava delle ombre. Bisognerebbe vederli perché spiegarli è più difficile. 

Per concludere, da artista, quale pensi che sia il posto della fotografia in generale, e di quella istantanea in particolare, nel sistema dell’arte odierno?

Per quanto riguarda il posto della fotografia posso darti una risposta con cognizione di causa, visto che è da un po’ di tempo che frequento gallerie e fiere, e con grande piacere posso dire che anche anche in quelle non specificatamente di settore, come ArteVerona, la fotografia sta cominciando ad avere uno spazio importante, e i collezionisti stanno iniziando ad investire. Questo mi fa molto piacere, perché penso stia finendo la sudditanza tra pittura e fotografia. Per quanto riguarda la fotografia istantanea nello specifico, ha un pregio rispetto alla fotografia digitale, nel senso che è unica. Per me è un valore aggiunto incredibile, e la uso anche per questo, perché mi piace che ogni lavoro che propongo sia irripetibile. Quando qualcuno acquista una mia fotografia, la porta a casa, so che si porterà a casa una parte unica della mia vita. A questo proposito, ho riscontrato che ci sono molti collezionisti che apprezzano questa unicità, che è poi come acquistare un quadro, e questo è sicuramente un vantaggio della fotografia istantanea. 

Luna Protasoni


Andrea Tonellotto
This Must Be The Place
13 gennaio – 25 marzo 2023
A cura di Glenda Cinquegrana
Con un testo di Rebecca Delmenico

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